Il frutto
Il simbolo dell’estate. A fette o a tocchetti, tagliata a metà o troneggiante nella sua enorme dimensione (il record italiano 2019 – 99 chili – è della Marangoni di Latina), l’anguria è presente nelle nature morte dei grandi pittori, come nelle foto di vita vera degli anni Sessanta e nei coloratissimi pixel digitali di oggi. Unisce generazioni diverse perché se l’Italia ruspante a mezzogiorno di ferragosto si divide tra parmigiana di melanzane, pollo in umido con peperoni e altre specialità regionali, il cocomero è davvero nazional-popolare.
Tradizionale
Frutto antichissimo (dal latino cucumis, cetriolo) originario dell’Africa tropicale, ormai è decisamente made in Italy. Perfino definito per legge “tradizionale”, quando si parla di cocomero pontino. La provincia di Latina (con 4.500 ettari dedicati, 4.000 addetti, 100 milioni di giro d’affari) è area leader in Italia: un’anguria su quattro è prodotta qui.
«La sua straordinaria bontà – spiega Claudio Filosa, presidente della Cooperativa Latina Ortaggi – deriva dalle particolari condizioni pedoclimatiche del basso Lazio dove ha cominciato ad essere impiantata subito dopo le bonifiche pontine». Proprio da Terracina è partito il progetto Red (Rurale, eccellente, differente) che promuove il cocomero come ingrediente destagionalizzato (almeno da maggio a settembre) per intriganti ricette.
Molti ristoranti hanno inserito nei loro menù ricette all’anguria: dal gazpacho di cocomero, pomodori e mandorle, al merluzzo fresco all’acqua di pomodoro e anguria, ai calamari saltati con anguria. Non solo piatti dolci, quindi. E non solo nel Lazio.
«L’anguria – afferma lo chef Marco Del Sorbo – non è solo il frutto dell’estate che disseta perché ricco di acqua. In cucina è una scoperta davvero molto versatile. Ideale col pomodoro, elemento abbastanza acido, perché con la sua dolcezza riesce ad equilibrare al massimo il gusto senza aggiungere nient’altro».
Olfatto
Ormai nobilitato, il cocomero-anguria merita anche le prove di degustazione (non basta “bussare” sulla buccia per dire se è buono). Descrittori positivi sono croccantezza, olfatto, dolcezza, succosità, intensità del rosso. Invece negativo è il sentore vegetale quando richiama la zucca, il cetriolo o l’erba verde.
«Il colore rosso intenso – spiega Filosa – dimostra il massimo contenuto di licopene di cui il frutto è particolarmente ricco. La croccantezza della polpa denota un buon contenuto di sali minerali e una buona ritenzione dell’acqua che deve essere rilasciata lentamente durante la masticazione.
Lo zucchero deve essere in armonia con gli acidi organici presenti nel frutto e che danno freschezza al palato, senza mai percepire i sentori vegetali, spesso di cetriolo, che sono indice di una velata immaturità». E per finire un consiglio: almeno a ferragosto non usate le posate, presa con le mani sembra ancora più buona!
Carlo Ottaviano