La trippa
«Oggi tutti vogliono il filetto o la fettina», esordisce con fare rassegnato Annibale Mastroddi, guru dei macellai romani con bottega storica in via di Ripetta. «Ecco perché quando un cliente mi ordina della buona trippa, viro subito sul buon umore. Un tempo il giorno della trippa, ma anche di tutto il “quinto quarto”, come chiamiamo noi romani le interiora, era il sabato. Giorno che poi coincideva con quello della macellazione. Oggi si è perso il nesso col calendario. L’importante è fare bene attenzione ai nomi, perché lo stomaco dei bovini è fatto a scomparti e quindi bisogna sapere di cosa stiamo parlando. In pratica, ci sono il rumine, detto panzone, spesso e grasso. Il delicato reticolo, che tutti chiamano cuffia. L’omaso, detto anche centopelli, foiolo. E infine l’abomaso, poco diffuso qui a Roma, ma felice cibo di strada a Firenze».
I panini
Non esagera Annibale Mastroddi, quando parla del culto dei fiorentini per il lampredotto. Basti guardare la coda che si forma ogni giorno al Mercato Centrale di via dell’Ariento, dove già il panino, bene imbevuto nel sugo del brodo, è una autentica delizia. Oppure fare una puntata fino al mercato di Sant’Ambrogio per godersi i panini dello storico trippaio.
La trippa al mercato si trova anche a Roma: ci pensa, a Testaccio, Sergio Esposito. Il suo slogan è «non facciamo semplici panini… creiamo emozioni». Nel gettonatissimo Mordi e Vai le specialità povere della cucina romana diventano un goloso atto di devozione alla migliore tradizione dello street food. Il “quinto quarto” riporta d’altronde in vita immagini del vecchio Mattatoio di Testaccio, popolato da figure ormai scomparse, bene descritte in un frammento del poeta romanesco Luigi Zanazzo. «I tripparoli con il loro schifetto in testa ripieno di trippe, zampi, pezzi di testa».
Ed è in questo storico quartiere che non si può mancare una sosta da Checchino, verace osteria fondata nel 1887, autentico tempio delle tradizioni più rigorose del Mattatoio. «Per fare la vera trippa alla romana ci vuole pazienza», spiegano i fratelli Mariani, ultima generazione dei titolari. «Non basta selezionare al meglio la carne, bisogna anche che la trippa riposi una notte nel suo brodo. Per non parlare del vero sugo di pomodoro di accompagnamento, dove agli odori della base, vanno aggiunte ossa, carne grassa e magra e una cotica sbollentata. È infatti in questa salsa densa che si passano le strisce di trippa».
Il cuore
A Milano, patria della “busecca”, piatto festivo profumato con bacche di ginepro, salvia, chiodi di garofano, non devono mancare i fagioli di Spagna per accompagnamento. A Genova, dove nel cuore dei carruggi del centro storico medioevale, la Tripperia di Vico Casana, coi suoi pentoloni di rame e le frattaglie esposte sui banchi di marmo, è meta imperdibile dei tour turistici, va ricordata la “sbira”.
E se Andy Warhol ha voluto dissacrare la mercificazione dell’arte con le scatolette Campbell di Pepper Pot Soup (minestra di trippa), a Oporto si può vedere il Monumento aos “Tripeiros”, come vennero chiamati gli abitanti, ridotti a consumare trippa, avendo donato le carni a Enrico il Navigatore e alla sua flotta alla conquista di Ceuta.
La ricetta della trippa fritta dell’Osteria della trippa – Roma
Ingredienti
Preparazione
Step 1
Sbollentate la trippa e versatela quindi in uno scolapasta, strizzandola bene per togliere l’eventuale acqua in eccesso.
Step 2
Mettetela in una ciotola, versate la farina e mescolate, eliminando l’eccesso della fatina con un setaccio.
Step 3
Buttate la trippa in abbondante olio di arachidi a 180 gradi (la trippa deve galleggiare), fatela cuocere per circa 7 minuti.
Step 4
A questo punto, scolate, posate su un foglio di carta assorbente, coprite con un altro foglio e lasciate riposare per circa un minuto.
Step 5
Mettete la trippa in una ciotola, aggiustate di sale e servite con una fettina di lime.
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