Il piatto
Non è mai il giorno sbagliato per celebrare uno dei primi piatti più amati d’Italia: i tortellini. Del resto, anche sulla sua origine, sugli ingredienti, sullo stesso nome (cappelletti, altrove) non c’è certezza. Un punto fermo – pochi mesi fa – hanno provato a metterlo a Bologna dichiarando il tortellino bolognese De.Co. (Denominazione comunale). A condizione però d’esser fatto con prosciutto, mortadella, lombo di maiale, parmigiano, uova e noce moscata. Ma – stiamone certi – dalle vicine città emiliane la contestazione non tarderà ad arrivare.
L’ombelico di Venere
L’unica certezza è che i tortellini devono avere la forma del perfetto ombelico di Venere (ma chi l’ha visto mai?) e il ripieno di carne. C’è chi giura – sintetizziamo da Storia della pasta in 10 piatti di Luca Cesari, edito da il Saggiatore – che sia frutto di un’ispirazione divina. Lo avrebbe inventato un oste guercio e bolognese di Castelfranco Emilia affascinato dalla vista dell’ombelico della dea Venere. «Preda di una bramosia creativa, si precipita in cucina dove afferra un dischetto di sfoglia e, a forza di rigirarlo sulle dita, riesce a riprodurre le forme del “divin bellico”».
In realtà i ricettari – spiega Cesari nel volume premio Bancarella Cucina 2021 – raccontano una storia diversa. Da quando un anonimo cuoco ne scrive nel 1501 a quando a fine Ottocento Pellegrino Artusi tramanda la ricetta odierna (salvo la sostituzione del midollo di bue col lombo di maiale). Innumerevoli le varianti. C’è chi mette tutte le carni a crudo, chi utilizza al posto del vitello il petto di tacchino. Chi dosa in modo diverso i vari ingredienti e chi taglia i tortellini, invece che a quadrati, a dischi. La disputa su quale sia la ricetta originale rimane insanabile.
Il ripieno dei tortellini
Il ripieno, più che la forma, caratterizza la provenienza geografica. La sfoglia, preparata in precedenza con uova e farina, deve essere comunque sottile e tagliata in quadretti della dimensione di pochi centimetri. I quadretti vengono poi ripiegati con il ripieno. Si procede quindi alla piegatura formando un triangolo le cui estremità si uniscono facendole ruotare attorno al dito indice.
Trasformazioni
Tante versioni anche nel resto d’Italia. I parenti fuori regione più stretti sono i piemontesi agnolott del plin. Il nome deriverebbe da un cuoco di nome Angelòt e dal dialettale plin, cioè pizzicotto, il gesto per chiudere il rettangolino di pasta. Ovviamente, i grandi chef non sono rimasti a guardare. Il più noto – Massimo Bottura che è di Modena – li ha trasformati in minuscola Arca di Noè (il nome che gli ha dato). «Le nostre nonne – racconta – dicevano che per fare un grande brodo serve il piccione, per un brodo raffinato la faraona. E che non va mai buttato il brodo ricavato dalla testa del maiale (quando lo sgrassi bene, nelle notti fredde della pianura, esce il suo lato più buono e gustoso). Sentiti questi racconti, il mio sous chef Yoji Tokuyoshi, dopo aver scoperto lungo il Po altre ricette di brodo con rane e anguille, ha voluto contaminare la tradizione con la cultura del suo Giappone, ritrovando l’umami perfetto con l’alga kombu al posto del Parmigiano Reggiano. A questo punto è nato un brodo poliglotta». L’unico limite di questi e di tutti i tortellini? Che il piatto ne accoglie sempre troppo pochi.
I tortellini in brodo alla bolognese
Ingredienti
- Farina 400 g
- Uova 5
- Vitello 50 g
- Mortadella 100 g
- Prosciutto crudo 100 g
- Lombo di maiale 50 g
- Parmigiano Reggiano 100 g
- Midollo di bue 30 g
- Brodo di carne
- Sale
- Noce moscata
Preparazione
Step 1
Preparare la sfoglia utilizzando farina e 4 uova.
Step 2
Scottare le carni a pezzetti, poi passarle al tritacarne, col resto e condire con Parmigiano, uovo e noce moscata.
Step 3
Sulla sfoglia – tagliata in quadrati di 3,5 cm – adagiare un po’ di ripieno, piegare la pasta a triangolo e schiacciare i lati.
Step 4
Ripiegare l’angolo esterno del triangolo e chiudere ad anello girando attorno al dito indice (per i tortellini particolarmente piccoli usate il mignolo).
Step 5
Lasciare i tortellini ad asciugare. Cuocerli in brodo (meglio, se di cappone) facendoli bollire dolcemente.
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