Il dolce
Ecco, ci risiamo. Nei giorni di festa vorremmo rifugiarci nella tradizione e puntualmente ci troviamo a dover ammettere che il bello & buono arrivano spesso dalle contaminazioni. A Natale a unificare le tavole imbandite di tutta Italia, più di pandoro e panettone, c’è il torrone. Guarda caso una bontà multietnica. Originario della Cina, fu portato dagli arabi in Sicilia e Spagna. Nell’isola la versione con il sesamo si chiama cubbaita, esattamente come l’identico dolce qubbayt di Algeria, Tunisia, Egitto.
La parola torrone deriverebbe invece dallo spagnolo turròn, cioè abbrustolito. Un’altra versione ci porta a Cremona. Nel 1441 il dolce di origine araba fu offerto durante il matrimonio di Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza. La forma e il nome Turun, facevano riferimento al Torrazzo, la torre campanaria del Duomo cittadino. Un altro salto ed eccoci in Piemonte, a Grinzane, il paese natale del conte Cavour. Il pasticcere Giuseppe Sebaste sostituì le mandorle con le locali nocciole (la Nutella era ancora solo nella mente del Signore).
Le uova
Insomma, nato chissà dove, oggi nelle sue tante versioni (mandorlato la più nota) è un dolce tipico made in Italy. Non è più solo duro com’era un tempo, ma anche tenero. Non più sempre bianco, ma pure al cioccolato. Gli ingredienti fondamentali sono tre: frutta secca, miele e albume. Le nocciole migliori da usare sono le Piemonte Igp, quelle di Giffoni Igp o di Avellino. Le mandorle meglio se pugliesi e siciliane (di Avola o di Noto). I più attenti scelgono mieli monoflora e teorizzano che l’albume non deve essere in polvere, ma di uova fresche, rigorosamente rotte una a una.
Spezzettato, il torrone diventa anche ingrediente di tantissime preparazioni. Giacomo Sacchetto, giovane chef veronese, dalla sera di Santa Lucia e fino alla Befana utilizza il tipico mandorlato di Cologna Veneta nel dessert. «È – spiega – un gelato arricchito dalle scaglie, che accompagna la nostra sfoglia e zabaione al Vin Santo». Addirittura lo chef pugliese (con ristorante in Campania) Antonio Putignano lo mette nelle preparazioni salate.
«Il torrone – racconta – dà più gusto alla pancetta di maialino nero cilentano, che rendo prima sulla piastra dorata e croccante, aggiungendo sale di Cervia affumicato con profumi di bosco». Qualunque sia la versione (morbida di Cremona o dura di Benevento, più frequentemente con le mandorle oppure le nocciole come si usa in Piemonte e Campania), il torrone è uno dei dolci che per tradizione si fa a casa per Natale.
Alta temperatura
Non è difficile da preparare: basta solo il tempo e l’attenzione alle temperature di cottura perché miele e zucchero non devono superare una certa soglia. In Calabria a Bagnara si cuoce a fuoco vivo e ad alta temperatura e nella versione “martiniana” mettono a copertura zucchero in grani. Ancora a Bagnara, usano molte più spezie che altrove, perché il porto nel ‘700 era base di arrivo dei mercanti di droghe. A Cologna Veneta per fare il mandorlato aggiungono gli albumi montati a neve. Insomma, comunque venga o se vi scappa la mano con qualche ingrediente, potete sempre inventarvi che «così lo faceva mia nonna». La “squalifica” arriva solo se in bocca il torrone diventa gommoso come una chewing-gum.