La specialità
In una immaginaria favola a soggetto gastronomico, se mai si dovesse celebrare una festa di famiglia a “casa Salsiccia” il primo requisito sarebbe la disponibilità di un maxi spazio, ben consapevoli del fatto che gli invitati arriverebbero da tutta Italia, ma anche da ogni angolo del mondo.
Una festa particolare, per giunta, perché, nonostante il suo intrinseco carattere popolare, la salsiccia, il cui nome deriva – sembra – da due parole latine (salsum e insicia, ovvero ripieno salato) vanta antichissime origini. Già conosciuta al tempo degli antichi romani, Varrone, erudito e politico del tempo di Pompeo, ne attribuisce l’invenzione alla schiave lucane che portarono a Roma il metodo di insaccare parti grasse e magre di maiale, da cui il nome luganega o lucanica.
Nazareno
«Io sono sorrentino, e se dovessi dare un contributo su un nome da invitare alla Festa, non potrei che scegliere le Cervellatine», esordisce Marco Coppola, a breve alla guida dei fornelli dell’hotel di lusso ricavato negli storici spazi del Collegio Nazareno. «Lunghe, strette, belle piccanti, sono il cuore di un piatto goloso, che può essere anche condimento di una pizza: salsicce e friarielli, i nostri broccoli amari che ne esaltano il sapore».
A sud di Roma c’è un paesino, Monte San Biagio, «celebre per una salsiccia aromatizzata al coriandolo», interviene Francesco Panella che, insieme ai fratelli, gestisce l’Antica Pesa, nel cuore di Trastevere a Roma. «In pratica, ci siamo inventati un giocoso ‘hamburger alla romana’, ovvero Salsiccia di Monte San Biagio con Provola affumicata e crema di cicoria ripassata: un connubio perfetto».
Senza contare il fantastico connubio che lo chef Fabio Cardilio della Buatta Cucina Popolare sa mettere nel piatto con la rara salsiccia di Linguaglossa cotta alla brace, cipollotto e salmoriglio.
Invitati
Tra gli “invitati” non possono mancare la Zampina pugliese, misto di manzo, ritagli di pecora e maiale, vanto di Sammichele di Bari, seguita dalla Luganega del Veneto (presente anche in Lombardia, dove a Monza è coronamento di un grande risotto) e dal Tastasal, la pasta della salsiccia non insaccata, che diventa condimento squisito per i bigoli oppure, nel veronese, per il riso. E l’elenco potrebbe continuare con l’Hirshwurst di carne di cervo dell’Alto Adige, o ancora con la Salsiccia di Bra, di carni magre bovine.
Michele e Andrea Filosi del Seven Caffè di Monteleone di Orvieto vanno subito al dunque: «Da noi in Umbria non c’è famiglia che, ammazzato il maiale, non si faccia le sue salsicce in casa. Il metodo, con piccole variazioni, è due parti di carne magra e una di carne grassa. Volendo, la parte magra può essere anche manzo, pollo, capra, cinghiale, ma il grasso lo deve dare il suino. Poi ci vanno 25 grammi di sale per chilo e un 7-8 grammi di pepe nero, dopodiché ci si sbizzarrisce: aglio, finocchietto, peperoncino, chiodi di garofano, noce moscata, chiodi di garofano, origano timo, ginepro e vino, meglio se rosso».
All’estero
Gli ‘invitati’ dal mondo sono a loro volta tantissimi, dallo speziatissimo Chianti mai thailandese alla morcilla spagnola di sangue coagulato, dalla merguez marocchina di carne di montone al boudin, il sanguinaccio francese. Senza contare, forte di un successo planetario, e tutto vestito di senape e ketchup, un ospite allegro come l’hot dog. Un nome che più antigastronomico non si potrebbe inventare. Cosa c’entra infatti un cane caldo, traduzione letterale del piatto, con l’appetito? In realtà, dal paese dei würstel, la Germania, ne avevano portato uno cui era stato il nome di dachshund. Così, in un mix di ignoranza, furbizia, spirito di commercio, verso le seconda metà dell’800, dagli spalti degli stadi yankee, il ‘cane caldo’ avrebbe conquistato il mondo.
La ricetta della salsiccia al ceppo di Linguaglossa di Fabio Cardilio
Fabio Cardilio qui gioca sulla tavolozza dei sapori. La Linguaglossa (Presidio Slow Food) è un mix di guanciale, lardo, pancetta, capocollo e coscia tagliati finissimi su un ceppo di legno di quercia dell’Etna