Il condimento
L’Italia del burro e l’Italia dell’olio d’oliva, sopra e sotto il Po, il Nord e il Sud. Troppo semplice per un Paese complesso come il nostro dividere il mondo solo in due. Da una parte i viziosi del burro (derivazione grassa del latte animale), dall’altra gli amanti dell’extravergine d’oliva (spremuta naturale vegetale). E chi preferisce l’olio di zucca, l’olio di soia o di vinaccioli da che parte sta? Assieme a chi cucina con gli oli di girasole, di germe di mais oppure con chi estrae l’olio da noci e nocciole.
Le varietà sono tantissime e chi ama la buona e sana cucina cerca l’olio più adatto ad ogni ricetta: perché neanche in pentola o padella, uno vale l’altro. Pasquale Torrente, il “re del fritto”, ne consuma almeno trecento litri al giorno nei suoi ristoranti a Eataly Roma, Fico Bologna e Cetara, vicino Amalfi. «Se fatta con olio buono e nuovo, la frittura è una delle tecniche di cottura più salutari, perché la pastella o la panatura mantengono integre le proprietà dell’alimento», spiega.
Antiossidanti
Torrente usa un olio di semi di girasole alto-oleico (l’80% di acidi- tà, invece del 25%), arricchito di antiossidanti naturali come l’estratto di rosmarino. «Quest’olio – spiega – è più delicato e meno coprente dell’olio di oliva».
«Per i vegani – scrive Mariaelena Gorini in Di olio in olio – il derivato dal girasole è un valido sostituto anche nelle preparazione di base in pasticceria». Edito da Trenta Editrice (128 pagine, 19 euro), il libro di Gorini è ricchissimo di informazioni e ricette sugli oli meno noti. In un’epoca in cui – giustamente – si sta attenti a limitare gli sprechi, l’olio di vinaccioli è tra quelli più di tendenza. Sottoprodotto dagli acini di uva scartati nel fare il vino, «col suo sapore neutro, è molto versatile», afferma Gorini.
Enrico Crippa, chef 3 Stelle Michelin ad Alba, lo usa in piatti straordinari come il carciofo al forno farcito di animelle di conigli. Nella vicina Valle d’Aosta si usa molto l’olio di noci. Denise Marcoz, cuoca che coltiva le tradizioni, spiega come si fa: «Raccolte le noci, spaccate e estratti i gherigli, questi ultimi venivano lasciati seccare per circa un mese, quindi tritati, scaldati in un paiolo di ghisa sulla stufa e poi, avvolti in un panno, torchiati nei torchi che normalmente appartenevano alle comunità del villaggio». Nulla si buttava. «Il troliet, il pannello dell’olio di noci residuo, si grattugiava nel caffelatte a colazione oppure i bambini ne mettevano un pezzo in tasca per mangiarlo a scuola». Il lungo viaggio alla scoperta degli altri oli prosegue con la soia (grande potere emulsionante, indicata come legante nelle creme sia dolci che salate), il mais (apprezzato per confezionare le conserve), l’olio di semi di lino.
Zuppe
«Col suo sapore amaro e piccante – scrive Gorini – accompagna bene piatti con ingredienti dolci e sapidi». Poco noto è l’olio di zucca, denso, scurissimo, dal sapore di erba tostata. L’avocado è ormai coltivato in Italia e in tanti apprezzano il suo olio dalla consistenza grassa che viene smorzata con l’uso degli agrumi. Il fascino dei prodotti etnici resta per l’olio di semi di sesamo, leggermente amarognolo. Infine l’estratto di semi di canapa, potente antinfiammatorio. Ideale nei piatti rustici e nelle zuppe, va usato in piccole dosi: non perché vietato ma perché il suo gusto è ruvido.