La specialità
Fatta la legge, trovato l’inganno. Se nei prossimi giorni il cappone troneggerà su tante tavole si deve anche a una furbata dei campagnoli dell’Antica Roma. Era il 162 d.C. quando una legge dell’Impero vietò le galline all’ingrasso per non sprecare i cereali. I contadini – non per nulla «scarpe grosse, cervello fine» – decisero di castrare i galli, più grossi ma inutili non facendo le uova. Dal Rinascimento è tradizione nelle campagne padane allevarne almeno quattro in vista del Solstizio d’Inverno e dei pranzi di Sant’Ambrogio, Natale, Capodanno e l’Epifania.
Alessandro Manzoni ne fa portare proprio quattro al buon Renzo de I Promessi sposi in dono all’avvocato Azzeccagarbugli, «perché non bisogna mai andar con le mani vote da que’ signori». Legati assieme per le zampe, «s’ingegnavano a beccarsi come accade troppo sovente tra compagni di sventura». Evidentemente non erano i capponi piemontesi di Morozzo, dichiarati Presidio Slow Food per la loro bontà (i puristi li gustano semplicemente lessi e bagnati nel sale) la cui più originale caratteristica è il non pizzicarsi tra di loro come fanno tutti gli altri galli (“umani” compresi).
Antologia
Il gallo castrato è ampiamente presente nei ricettari della cucina italiana, come dimostra la straordinaria (e assolutamente unica) antologia di oltre 500 anni di ricettari Coquus pubblicata da Giunti (704 pagine, 39 euro). Tra gli esempi, i Caponi inzucarati già a Napoli nel 1464, in fricassea (col succo di arance e cannella) secondo Messisbugo nel 1549, alla Bersagliera (prima rosolati in burro e salvia, poi coperti da due bei bicchieri di vino e da una pestata di lardo) nel Dubini del 1857. Oggi le tradizioni regionali, stando all’Accademia della Cucina Italiana, lo vedono ripieno in Piemonte, Emilia Romagna, Molise. In galantina nelle Marche. “Alla canevera” (pulito, disossato, profumato con erbe e quindi inserito in un budello di maiale per la cottura lenta) in Veneto. Arrosto al forno nel Lazio. “Alla calabrese” (con filetti di acciughe e Marsala) al Sud.
Raviolotti
I grandi chef lo esaltano non solo nel brodo. Massimo Spigaroli, stellato all’Antica Corte Pallavicina nel Parmense, propone i Raviolotti di cappone con anguilla, gambero di fiume e carpaccio di pomodoro. Oppure intramezzato di foie gras, maiale nero della golena del Po e castagne, accompagnato da cipolline glassate e funghi. La ricetta di oggi del Cavallino Bianco dei fratelli Spigaroli è la “suprême” di cappone che piaceva assai a Giuseppe Verdi che l’aveva gustata nei grandi alberghi parigini.
Per i comuni mortali, il dilemma è solitamente se lessarlo per farne uno strepitoso brodo per i tortellini o cucinarlo arrosto con patate (un segreto per rendere più morbida la carne è massaggiarla prima della cottura con una emulsione di burro a bagnomaria, sale e pepe). «Al momento dell’acquisto – spiega il macellaio Sergio Motta, ai corsi del Gambero Rosso – deve essere bello, giallo e grasso. Gli speroni all’interno della zampa devono essere a metà stinco, il che indica l’età giusta per cucinarlo, che va dai sei agli otto mesi, quando ha gli ossi più secchi e la carne è più saporita». Per farlo in brodo serve intero. «Se proprio bisogna scegliere – aggiunge Motta – preferite le cosce perché il petto è un po’ più asciutto».