Le varianti
È antico e assai moderno. Il melograno c’era già nella preistoria e poi greci e romani ne andarono pazzi tanto da narrare di Core – alias Proserpina – strappata alla madre Demetra e costretta a cibarsi solo degli arilli (i chicchi del melograno, il cui frutto si chiama melagrana). Non erano però allora note le straordinarie proprietà antiossidanti né l’impiego anticoagulante del sangue. Previene pure il raffreddore perché un bicchiere di succo contiene il 40% del bisogno giornaliero di vitamina C. Ritenuto antitumorale è indicato contro il carcinoma della prostata.
Miracoloso o meno, sgranocchiarne i grani o berne l’estratto è sempre più di moda. Senza neanche scomodare la simbologia che vede nella ferita color rosso infuocato sull’esterno del frutto maturo la promessa di un bacio se non addirittura la forma del sesso femminile. È dono beneaugurante di fertilità nei matrimoni in Oriente, la speranza di abbondanza nella Bibbia e nella tradizione ebraica o infine nel Corano come una ricompensa per chi merita il Paradiso.
La coltivazione
Fatto sta che senza bisogno di tendere «la pargoletta mano» verso gli alti rami della pianta, il piccolo Dante, figlio di Giosuè Carducci, oggi troverebbe lunghi banconi di «melograno da’ bei vermigli fior» nei supermercati (tra 1,70 e i 2 euro al chilo). Perché l’Italia è diventata negli ultimi cinque anni terra di coltivazione e sono già più di tremila gli ettari dedicati.
In cucina la melagrana è un ingrediente prezioso e non banalmente per l’aspetto estetico. «Io – racconta Alessandro Cozzolino, executive chef nella spettacolare Villa San Michele Belmond di Fiesole – la uso per trovare quella punta gradevole di acidità che caratterizza la mia cucina. È ideale per mitigare i cibi grassi, equilibrare gli amari, dare sempre freschezza e pulire il palato». Massimo Bianchi del Toscanino di Milano sgrana e centrifuga i grani e poi riduce il succo quasi a un miele (aggiungendo dello zucchero se troppo acido), per ricoprirci il maialino porchettato. Gaetano Trovato, due Stelle a Colle Val d’Elsa, nel piccione con castagne e nocciole aggiunge un gel realizzato facendo bollire il succo di melograno con l’agar, lasciandolo raffreddare e quindi frullandolo.
Nel creare il gel da impiegare nel filetto di rombo chiodato e sedano rapa, Giovanni D’Ecclesiis al Vistamare di Latina preferisce la xantana (un grammo ogni duecento grammi di liquido). Cozzolino per l’elisir della sua Rumba Toscana (ricetta di oggi) fa arrivare alcune varietà particolari e precoci dal Veneto, oppure – come fa con quasi tutti gli ingredienti che usa – li seleziona dopo lunga ricerca in Toscana, generosissima col melograno in Val di Chiana. «Anche nel nord del Lazio – precisa – se ne trovano di fenomenali, come avviene in quella parte della regione per tutta la frutta autunnale, anche quella considerata dimenticata».
Il succo
Il giovane chef globetrotter per estrarre l’essenza ha trovato il metodo dopo tante prove e riprove. «Il melograno – svela – va pestato e non frullato. Lo tagliamo a metà e facciamo cadere i chicchi senza romperli (quindi non col coltello, ma col cucchiaio per non perdere neanche una goccia di succo). Li mettiamo in una busta alimentare come quelle del sottovuoto e col mattarello li schiacciamo e poi filtriamo. Il succo resta così rosso, rosso sangue. Se invece lo emulsioniamo o usiamo la centrifuga, diventa rosa e la pellicina lascia uno sgradevole pizzico di amaro».