Il primo
Pochi sanno che i ravioli hanno un proprio santo protettore. Non ufficiale ma di fatto. È Guglielmo Cuffitella, beatificato da Paolo III Farnese nel 1537. È il patrono di Scicli (Ragusa), set televisivo della Vigata del Commissario Montalbano. Eremita di grandi virtù, trasformò un ripieno di crusca e segatura in buonissima ricotta di pecora e un’altra volta riuscì a rigenerare un piatto vecchio di mesi in fumanti e fragranti tortelli.
Il barocco
Nella Chiesa Madre del paese barocco – meta ormai dei più adoranti fedeli del Montalbano di Andrea Camilleri – c’è perfino un quadro in cui Guglielmo prega dinanzi ai ravioli. È la conferma che tutte le paste ripiene italiane sono davvero un miracolo, se non di santità, sicuramente di bontà. «La fantasia e la disponibilità dei prodotti del territorio hanno arricchito taluni impasti con i ripieni, dolci o salati, di grasso o di magro, in un trionfo di sapori. Ravioli, pansotti, tortelli e tortelloni, cappelletti, che si agghindano con i più svariati condimenti.
Dal pesto alla salsa di noci, dai ricchi ragù di carne o di cacciagione a quelli di pesce, per non parlare delle cotture in brodi saporiti e gustosi», elenca Paolo Petroni, presidente dell’Accademia Italiana della Cucina, la Cassazione delle tradizioni regionali che porta in libreria il sesto volume della Biblioteca di cultura gastronomica. Un testo dedicato proprio a La pasta fresca, ripiena e gli gnocchi (Bolis edizioni, 248 pagine, 19 euro). Un viaggio in Italia e nel tempo anche se – va detto – la prima citazione dei ravioli in effetti la dobbiamo a Ibn Butlan, un medico di Bagdad, che intorno al 1100 lascia 80 ricette di pasta a forma triangolare, ripiena di carne tritata.
Solo per l’Italia, nel volume dell’Accademia troviamo circa 70 ricette. Ne citiamo giusta una per ogni area. Al Nord, ecco gli agnolotti piemontesi di cui andava ghiotto Cavour, «se conditi con rigaglie e frattaglie». Da servire rigorosamente senza panna, come invece purtroppo avveniva negli anni Settanta, quando quel «grasso dell’abbondanza era riscatto dei periodi di magra». Nel Centro Italia i ravioli della tradizione sono di ricotta e spinaci (la ricetta di oggi), ma c’era chi, per esempio i francescani di Civitavecchia in Quaresima – amava il ripieno di soffritto e ragò (scritto così) di pesce. Al Sud, in Basilicata, c’è la variante dei calzoni serviti insieme alle orecchiette. Nel periodo di carnevale, poi, molti ripieni diventano dolci, come i sabadoni in Emilia, i crosetti siciliani o i culurgiones sardi ripieni di miele e mandorle.
Le cozze
Ma le paste ripiene vivono ancora una loro contemporaneità, magari senza bisogno di aprire i ravioli come fece nel 1982 Gualtiero Marchesi? Secondo Tonino Cannavacciulo, bravo in tv quanto tra i fuochi, la tradizione dei tortelli & co è «rassicurante pur potendo sigillarvi dentro le invenzioni più creative». Perfino «bugiarde», come quelle di Luca Marchini, stellato di Modena. «Li chiamo tortellini bugiardi – spiega – perché sono vuoti: solo farina e uova, senza ripieno di carne. È la testimonianza di un’epoca povera, quando in dispensa di trovavano uova e farina, poi si recuperavano un po’ di verdure, ma mancava il denaro per procurarsi anche la polpa». Una variante di Marchini li vede cotti e brasati con acqua di cozze, una volta questi considerati poveri.
La ricetta dei ravioli ricotta e spinaci – Accademia Italiana della Cucina
Ecco la ricetta dei ravioli ricotta e spinaci. A Roma sono in uso anche i ravioli bianchi, il cui impasto è senza spinaci.