La pietanza
Il salmone è un pesce fantastico, ma bisogna saperlo scegliere. Le varietà selvagge regalano in genere più soddisfazione gastronomica, ma non bisogna nemmeno demonizzare il prodotto di allevamento. Al giorno d’oggi ci sono aziende rigorose che sanno offrire qualità», spiega Arturo Scarci, patron di Meglio Fresco a Roma, pescheria e Fish Bistrot, autentico guru per tutto quello che offre il mare.
«Quando si dispone di prodotto fresco – continua Scarci- un modo molto semplice e sfizioso di gestirlo a casa è quello di prepararsi il classico “gravlax” della tradizione scandinava. Il filetto preso dal dorso e marinato in sale, zucchero e aneto. Avrete così un ingrediente versatile, fantastico con le tartine, su una pasta, o in un sandwich».
I modi di godersi un salmone fresco sono tanti, a partire dalla sua marinatura. Con limone, con aceto, con salsa di soia e con una vasta possibilità di aromatizzanti, che si tratti di erbette (prima fra tutti l’angelo dei Paesi Scandinavi, seguita dalla erba cipollina), oppure di scorze di agrumi. Dopo di che, in carpaccio o in tartare, oppure al forno, bollito, al vapore o alla griglia. Avrete a disposizione tutto un vasto repertorio di preparazioni per valorizzare il prodotto. Con un accorgimento fondamentale, e cioè di vigilare molto bene i tempi di cottura, per evitare che la carne asciughi e diventi stoppacciosa.
Il coltello
Sulla piacevolezza che porta al palato il salmone, giusto di grasso e lungo di sapore tanto da sciogliersi in bocca, la cucina giapponese ha fondato una vera e propria scienza. Scienza che già si esprime col variegato mondo di sushi, tartare, nigiri, compreso l’impiego del sashimi bocho. È un coltello di forma stretta e lunga che permette di far scivolare per inerzia la lama nella fitta trama della carne del pesce, senza perdere le goccioline di “umami” (il quinto sapore), che sono la quintessenza del salmone.
«Noi ne proponiamo una versione cotta molto classica, lo Shake Teriyaki Smoke, usando il prezioso legno di Hinoki, il cipresso giapponese per affumicarlo al piatto», racconta orgoglioso Giuliano Kuni, patron del raffinato Sushisen che apre i battenti a Roma,
a due passi dalla Piramide. Il salmone affumicato ha nel cuore di Roma un importante punto
di riferimento nel gioioso buchetto di Emanuele Atzori, Que te Pongo. Insalate e panini gourmet a base di “salumeria di mare”, sono davvero imbattibili, così come vale la pena esplorare con l’appassionato titolare un’offerta davvero non banale.
«Tre piccoli gioielli? – esordisce Atzori – Il salmone scozzese marinato al whisky di John Ross, fornitore della Casa reale, e poi due selvaggi: il Red King dell’Alaska e il Sokeye, rosso intenso e delicato di sapore, pescato alla foce del fiume».
L’affumicatura del salmone
Il mondo del salmone è molto variegato e obbliga il consumatore a scelte che presuppongono conoscenze di base, che comprendono anche i legni dell’affumicatura (faggio in Italia, quercia in Scozia, conifere nei Paesi Scandinavi). Non meno della tecnica: dalla affumicatura a freddo (più aromatica e costosa) alle metodologie industriali, che rendono però il sapore più acre. Così, alla domanda su cosa sia meglio, se il selvaggio, o il prodotto di allevamento, Emanuele Atzori va giù sicuro. «Il salmone di allevamento è più grasso, e oggi in Norvegia stanno lavorando bene, così come in Irlanda dove hanno puntato molto sul bio. Il sapore del selvaggio, trattato in maniera artigiana in tutte le fasi, dalla salatura a mano alla affumicatura, offre però una complessità unica».