Il piatto
Giuseppe Garibaldi le aveva scoperte nel 1849 e, a modo suo, provò a unire anche gastronomicamente l’Italia. Piantò a Caprera alcune piante della cultivar Ascolana Tenera, tipica delle provincie di Ascoli Piceno, Fermo e Teramo (c’è chi le chiama olive Marcuzzo, vista l’origine comune nelle Marche e in Abruzzo). Sono solo 89 i comuni che dal 2005 possono vantare la Dop riferita all’oliva verde da tavola, in salamoia o panata e ripiena. Un frutto che è la base per raggiungere la perfezione della ricetta delle olive ascolane. Solo quella varietà dà un’oliva grossa, ben polputa e col nocciolo piccolo, cioè la giusta dimensione per essere farcita. Proprio l’oliva ripiena e fritta entusiasmò l’Eroe dei due mondi che pretese di farsi spiegare dall’ascolano Candido Augusti Vecchi (uno dei Mille, poi deputato del Regno) la ricetta. I piccoli ulivi trapiantati nell’arcipelago della Maddalena non superarono i tre anni di vita. Non è dato invece conoscere i risultati raggiunti in cucina dal Generale.
Ghiottoni
Con maggiore modestia sulle proprie capacità culinarie, Gioacchino Rossini se le faceva spedire a Parigi e così pure Giacomo Puccini durante le tournée. Prima di loro, troviamo riferimenti all’oliva ascolana in Marziale, Catone e nel Satyricon di Petronio Arbitrio (Trimalcione ne era ghiotto). I latini la chiamavano “liva concia”, i greci facevano riferimento al verbo colymbao, nuotare, in riferimento al metodo di conservazione delle olive immerse in salamoia. Ma nessuno degli antichi – né Papa Sisto V che ne era goloso tanto da scriverne nel suo diario – provò il voluttuoso piacere della ripiena fritta. Fu “inventata” a cavallo tra Settecento e Ottocento dai cuochi delle famiglie nobiliari per valorizzare le carni degli allevamenti locali e allo stesso tempo per non sprecare gli avanzi.
Adesso è uno degli emblemi del finger food italiano, il cibo mangiato con le mani, proprio come una ciliegia: infatti una tira l’altra. «Lo sfrigolio della frittura, il profumo che inizia a diffondersi in cucina, la meraviglia del primo morso. È impossibile resistere e fermarsi solo ad un assaggio», dice Sonia Peronaci che sul web propone la ricetta tradizionale.
«La regola numero 1 – precisa Pina Sozio, curatrice della guida Street Food del Gambero Rosso – è che le olive vanno snocciolate a mano, per evitare che la polpa si rompa. Mentre il ripieno è composto da uno spezzatino con carni di manzo, maiale, tacchino o pollo (in percentuale minore) tritato rigorosamente a mano. Uovo e parmigiano per amalgamare il tutto e poi un tuffo nell’uovo, nella farina e infine nel pangrattato. C’è chi aggiunge la mortadella per dare una spinta di sapidità, chi la mollica di pane e chi addirittura farcisce le olive direttamente con la carne cruda».
Le varianti delle olive ascolane
Tanti gli innovatori. Per esempio, Migliori – assieme a Siamo fritti e al Caffè Lorenz, tra i top del settore ad Ascoli – ha introdotto le varianti al tartufo e al formaggio. Dal punto di vista nutrizionale le olive fritte non sono proprio leggere. Cinque o sei grosse olive equivalgono a circa 250 kcal. Gli ingredienti hanno tante proprietà. Il potere antiossidante e antinfiammatorio delle olive. Il valore proteico delle carni miste, di parmigiano e uovo. I carboidrati apportati dal pangrattato. Insomma, una bomba, ma anche una esplosione di gusto per la quale ogni tanto vale la pena violare le abitudini.