Chef stellate
La siciliana Martina Caruso, vincitrice del Des Grandes Dames Veuve Clicquot, dedicato a Barbe-Nicole Ponsardin, la giovane vedova che a inizio Ottocento portò al successo la sua maison di champagne in un modo tutto al maschile, nel 2019 è stata proclamata dalla Michelin la più brava Chef Donna Italia.
A passarle la corona – se parlassimo di Miss e non di professioniste che dirigono cucine con decine di dipendenti – era Fabrizia Meroi, montanara, Sappada sulle Dolomiti. Quattro anni prima, Martina era stata l’italiana più giovane a conquistare una stella Michelin col Signum, il ristorante di famiglia nell’isola di Salina. Le stellate sono nel mondo non sono tantissime e l’Italia è il paese che ne conta di più.
La ricerca
«Cinque donne chef su dieci fanno fatica a trovare finanziamenti per un’attività in proprio se non sono accompagnate da un uomo», spiega Silvana Chiesa che all’università di Parma ha curato una ricerca sul tema. La cucina professionale è del resto un mondo fortemente maschilista, già a partire dalla definizione militaresca di brigata, usata per il gruppo di lavoro. «L’unico modello esistente – spiega Chiesa – è quello impostato due secoli fa dagli uomini. Gli ex domestici dei nobili francesi diventati improvvisamente cuochi professionisti, che per marcare la distanza dalle donne, cuoche di servizio, hanno organizzato le cucine in modo militare facendosi chiamare chef, cioè capi, indossando divise e instaurando una durissima gerarchia. Una via rimasta identica a sé stessa per duecento anni, insegnata nelle scuole, perpetuata nelle brigate, quando molti chef, soprattutto donne, l’hanno invece già completamente superata con altri criteri, molto più collaborativi».
Ne è un esempio Martina Caruso. «Sono uomini – afferma – la gran parte dei grandi chef, però hanno tutti imparato dalle loro mamme. Io sin da ragazza ho seguito come un’ombra invece mio padre, che faceva il cuoco. Insomma sono un mix di rigore e sensibilità. In ogni caso, amo il clima sereno, non chi crea tensione. Al Signum si ride, si scherza anche se pretendo serietà durante il servizio e se serve alzo la voce e mi faccio sentire. Però siamo amici e quando mi accorgo di essere stata sopra le righe la sera usciamo e offro io la birra». Nella formazione della giovane cuoca c’è molto di Roma dove ha frequentato i corsi del Gambero Rosso e poi alcuni mostri sacri.
Il pesce
«Da Antonello Colonna – racconta ho imparato a ricercare la materia prima e la gestione degli eventi. Da Luciano Monosillo la creatività. Tante cose che so sulla cucina del pesce le ho apprese da Massimo Riccioli». Da Gennarino Esposito in Campania, «ho capito cosa vuol dire cucina del territorio».
Volendosi descrivere Martina si sente rappresentata dagli spaghetti alle vongole. «Li faccio spesso a casa – dice – anche da sola. Sono semplici. Ma, attenzione, è anche facile sbagliare come con lo spaghetto al pomodoro. Bisogna saperlo prendere. Come me».