La tradizione
Non c’è solo il caffè a stimolare l’italianissima arte della variazione gourmet, con tutto il suo giro di valzer tra lungo, ristretto, al vetro, schiumato. A Genova e in tutta la Liguria il gioco si complica ancora, infatti, ed è intorno a uno dei grandi totem golosi regionali: la focaccia. Chi la vuole dal bordo e chi dal centro, chi la vuole unta e chi più “panosa”, e ancora, c’è chi chiede quella di Voltri – morbida, sottile, austera, cotta sulla piastra e spruzzata di farina di mais – chi la versione dura e pura con le cipolle, ma anche chi ama la sensualissima Recco, col formaggio.
«La verità è che la focaccia qui da noi a Genova è una religione tollerante», scherza Eugenio Segalerba, vicepresidente del Tunnel, un Club per gentiluomini che è una vera e propria istituzione all’ombra della Lanterna. «Innanzitutto la focaccia nasce come pane ricco, più condito, ma si presta alle fruizioni più diverse. Sublime da sola, certo, vero street food, ma anche perfetta col nostro mitico salame di Sant’Olcese, o anche, sull’estremo opposto, sorprendente accompagnamento, “pucciata” nel cappuccino. I camalli, l’antica corporazione degli scaricatori del porto, alle 11 facevano uno stop e la focaccia andava giù con (almeno) un bicchiere di bianco».
Le iniziative
Genova ci crede ed è davvero tutto un fiorire di iniziative per tenere viva la sua cultura. Barbara Palazzo, anima vulcanica e dirompente di 20 Tre, uno dei locali più cool in città non ha esitazioni: «Noi celebriamo ogni giorno, con una cucina dinamica, ricca di citazioni dal mondo, non meno che dall’archeologia gastronomica cittadina, la nostra Zena. Non è quindi un caso se il cliente trova nel suo cestino del pane una focaccia tutta giocata sulle tinte morbide della seduzione lieve. Non unta, ma avvolgente, perché ci sono i fiocchi di patate nell’impasto».
La focaccia esce insomma dai vicoli per sedersi nei salotti buoni dell’alta gastronomia, come dimostra la sua rallegrante presenza anche nel cestino del pane del Marin, il ristorante gourmet di Eataly con vista spettacolare sul porto antico. Che la focaccia sia cibo antico è ampiamente accertato. Di derivazione romana come offerta agli dei, poi nei banchetti rinascimentali e, prima ancora (nella sua versione al formaggio) offerta nell’Abbazia di San Fruttuoso ai Crociati in partenza per la Terra Santa.
La cottura
Un cibo molto amato, insomma, tanto da essere consumato anche in chiesa, col risultato che nel ‘500 il vescovo Matteo Gambaro fu costretto a minacciare la scomunica ai fedeli “incapaci a resistere”. «Oggi niente scomuniche – ride Lorena Germano, anima di Quintilio, ad Altare – al più cerchiamo di non fare confusione con la pizza bianca dei romani, buonissima, ma caratterizzata da una elevata idratazione e che cuoce sul refrattario senza teglia intorno ai trecento gradi, mentre la nostra contiene olio e cuoce in teglia intorno ai 240 gradi. Ma non è tutto: comprato un pezzo all’Antica Casana tra i carruggi medioevali, o da Fokaccia (untissima) nel quartiere dello shopping, non fate come i foresti che la consumano quasi sempre al rovescio. Il lato giusto da portare alla bocca è solo quello con gli “occhi”, più sapido e unto».
La ricetta della focaccia genovese di Gianni Ruggero, ristorante Sogno Autarchico – Roma
Gianni Ruggiero, genovese doc da anni ristoratore in Roma, nel suo Sogno Autarchico in Prati la focaccia non la fa mancare mai.
Ingredienti
- Farina 00 1 kg
- Farina Manitoba 750 g
- Olio EVO 150 g
- Acqua 550 g
- Lievito 35 g
- Estratto di malto 20 g
Preparazione
Step 1
Per farla in casa, dovete impastare a lungo.
Step 2
Poi lasciate riposare mezz’ora l’impasto ripiegato.
Step 3
Dopo, un’altra mezz’ora in teglia prima di cominciare a spianare con le mani, stirando l’impasto e cospargendo con una salamoia di acqua e olio.
Step 4
A questo punto si sala, si cosparge di altro olio, formando tanti “occhi” coi polpastrelli.
Step 5
Altro riposo di due ore in ambiente caldo e poi via in forno a 230 gradi per venti minuti.
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