La bevanda
Desiderio inconscio di punirsi dopo un lauto pranzo o piuttosto necessità di ripristinare il sistema digestivo? Non c’è risposta univoca al perché del successo degli ammazzacaffè. Fatto sta che in tutte le famiglie italiane un tradizionale amaro di erbe ha sempre fatto capolino. Non solo per la sua funzione digestiva dopo pasto, ma anche prima, perché stimola una maggiore salivazione e quindi l’appetito. Mix di tradizione, cultura, piaceri del palato, esigenze terapeutiche, gratificazione mentale, l’amaro è di moda, tanto che in centro a Roma c’è il primo Amaro Bar italiano (Il marchese, in via di Ripetta 162). Il format è stato portato dagli Usa da Matteo Zed, guru della mixologia. «La maggior parte degli Amaro bar nel mondo – afferma Zed – ha un quarantina di etichette. Noi oggi 529 e organizziamo verticali di amari vintage, dal 1950 al 1970 potendo scegliere tra antiche bottiglie, alcune rarissime».
La composizione
«Organizziamo corsi di degustazione a diversi livelli» spiegano i patron Lorenzo Renzi e Davide Solari. Luigi Veronelli, il padre della critica enologica, spiega comunque che (secco o con ghiaccio) l’amaro «deve essere prima accarezzato con lo sguardo, poi con le labbra e infine con la lingua, senza fretta, in piccoli sorsi, come se fosse qualcosa di raro e prezioso. Dietro il nome generico di amaro si nasconde un universo di erbe aromatiche, spezie, bacche, cortecce dalle note morbide quanto spigolose e amare.
Rispettando l’ordine alfabetico dell’Atlante dei Liquori di Agra Editore, tra le materie prime ci sono achillea, aloe, angelica, anice, assenzio, boldo, cannella, carciofo, cardamomo, cascara, centaurea, china calissaia, cumino, coriandolo, curcuma, genziana, ginepro, rabarbaro, ruta, salvia, sambuco, timo. Il successo dei liquori made in Italy ha spinto alla riscoperta di prodotti di nicchia dimenticati. Come nel caso delle sorelle Sara e Francesca Piana che seguendo la ricetta di un antico manoscritto conventuale, producono il loro Spinamara, a base di fico d’India e arancia dell’Etna.
Comunque nessuno vi darà mai la ricetta dettagliata con percentuali e tempi di invecchiamento. Il segreto è parte del fascino. Come nel caso della famiglia Nonino, tra i protagonisti con le grappe monovitigno della rinascita mondiale dell’acquavite italiana e ora degli amari. «Nel 1933 – racconta Antonella Nonino – nonno Antonio diede corpo alla sua passione elaborando attraverso infusi a base di grappa ed erbe di montagna l’Amaro Carnia».
Il riconoscimento
Mettendo assieme l’esperienza nel fare grappa e amari, è nato Nonino Quintessentia, l’amaro italiano più premiato al mondo. Addirittura Brad T. Parsons, l’autore della guida-vangelo Bitters, apre proprio con l’amaro friulano il suo saggio Amaro: The Spirited World of Bittersweet, Herbal Liqueurs. Ed essenziale – secondo il New York Times – è nel Paper Plane, uno dei Modern-Classic Cocktails più trendy nella Grande Mela.
Gli amari sono ora diventati anche ingredienti in cucina. Lo chef bistellato Emanuele Scarello di Udine dopo aver filtrato il doppio brodo di gallina aggiunge per ogni litro 70 grammi di Quintessentia e poi lo serve caldo, con una scorza d’arancia.
La ricetta delle crepes flambees all’amaro di Giacomo Rubini Grand Hotel Astoria di Grado
Ingredienti
- Crespelle 8
- Crema Pasticcera profumata alla grappa riserva Nonino 18 mesi
- Grappa 200 g
- Zucchero caramellato con grappa
- Burro
- Scorza di arancia 3
- Scorza di limone 2
- Amaro Nonino Quintessentia
Preparazione
Step 1
In una padella posta su fuoco versare zucchero liquido con le scorze di limone e di arancia.
Step 2
Quando lo zucchero inizia ad imbrunire, aggiungere il burro e togliere le scorze di limone e di arancia.
Step 3
Quando poi il liquido inizia a divenire sciropposo, aggiungere le crepes farcite alla crema pasticcera profumata alla grappa riserva Nonino 18 mesi piegate a triangolo.
Step 4
Appena la salsa è consistente, fiammeggiare con Amaro Nonino Quintessentia.
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