«Molto cara Albina, mi duole di darti un gran dolore. Ma io ho una improvvisa passione per i cannelloni. Bisogna che tu abbia cannelloni pronti in ogni ora del giorno e della notte. Cannelloni! Cannelloni! Grazie!». Così scriveva nell’aprile del 1934 Gabriele D’Annunzio a “Suor Intingola”, come il poeta amava chiamare la sua cuoca del Vittoriale, Albina Lucarelli Becevello. All’eterea madeleine di Proust, fil rouge di tono tutto psicologico di remote memorie d’infanzia, si contrappone il cannellone dannunziano.
Icona di una gastronomia erotica e gaudente, ma anche inconfutabile patente di nobiltà per un piatto dallo statuto per molti versi ambiguo, a causa della sua natura a metà strada tra ricetta dei giorni di festa e piatto giocato sugli avanzi. Elemento talvolta inquietante, quando la proposta non nasca nel perimetro delle economie di casa, ma sia affidato alle cucine di mense o di trattorie.
Le diffidenze
Difficile, tuttavia, coltivare questo tipo di diffidenze varcata la soglia del luminoso Sora Maria e Arcangelo nel borgo di Olevano Romano, luogo di pellegrinaggio per gli aficionados del cannellone, qui proposto con sensibilità moderna e con cuore antico da Giovanni Milana. Da quando la generazione dei fondatori, per via dei sentimenti antifascisti del nonno Arcangelo, aveva dovuto lasciare la piccola trattoria del Pigneto a Roma per riparare, fuori dalla Capitale, ad Olevano, città di Maria, tante cose, certo, sono cambiate.
A furor di popolo, tuttavia, il cannellone è rimasto intatto a sorridere ai clienti. Giovanni Milana, chef romantico, lo propone espresso, rovente, in modo che anche la contemplazione paziente moltiplichi l’acquolina, secondo la ricetta di mamma Rita, la figlia della fondatrice. Dove il “segreto” consiste nella emulsione nella besciamella del grasso di cottura del vitellone bianco della Val Comino.
Lungo le strade del cannellone, indispensabile tappa “glam” nella Tuscia viterbese alle Terme di Vulci: verde paesaggio avvolgente punteggiato di olivi, vasche termali, poche tende curatissima per un’ospitalità lussuosa nella natura, ma anche un ristorante che attinge alle eccellenze del territorio con cuore bio. Lo chef Alessandro Fiorito spazia dalla chitarra con ragù di agnello alla mousse di ricotta di bufala con noci e miele di castagno secondo un menù che varia con le stagioni. Solo punto fermo i cannelloni, tutti realizzati con prodotti maremmani doc: passata di pomodoro, mozzarella di bufala, vitellone.
Il raffinato
Icona pop, il cannellone, ma senza antichi, nobili quarti. Fino al ‘700 non se ne parla. La prima citazione viene dal raffinato chef e letterato napoletano Vincenzo Corrado nel suo Cuoco Galante del 1773. La ricetta prevedeva un grande pacchero farcito di carne e tartufi con ragù, ma la strada per costruire un cilindro di pasta al forno con pasticcio di carne e salsa di pomodoro (ingrediente entrato molto tardi nella nostra cucina) era ormai spalancata.
Compresa la disputa sulla primogenitura della ricetta tra amalfitani e sorrentini. Ad Amalfi, si vuole che il piatto sia nato nel 1924, col nome di “Cosa Divina”, per mano dello chef Salvatore Colletta dell’Albergo I Cappuccini. A Sorrento, però si indignano: la ricetta degli “strascinati” fu inventata a fine ‘800 da Antonino Ercolano, fondatore di O’Parrucchiano per la sua trattoria La Favorita. Così succede nel paese dei guelfi e dei ghibellini.