In tavola
«Il polpo è stato per me, come forse per ogni bambino, il primo approccio e il primo ricordo di sapore di pesce in bocca: freddo come insalata e patate, limone e prezzemolo; arrostito con olive, pomodorini e capperi». Lorenzo Iozzia, chef siciliano trapiantato nel viterbese, condivide con tanti anche l’emozionante ricordo delle prime prove di pesca subacquea «alla ricerca della tana, la nuvola di inchiostro mentre scappa o la prima volta che fuori dall’acqua ti si avvinghia sul braccio e non riesci a staccarlo».
La pentola
Apprezzato tutto l’anno, in estate il polpo vive il suo vero momento di gloria quando al ristorante o a casa viene accarezzato, grigliato, bollito, cotto in pentola, a bassa temperatura, o come vi pare. Ma attenzione a chiamarlo col giusto nome, senza la “i”. È un animale tendenzialmente notturno e solitario. Ha la testa, gli occhi, otto paia di tentacoli con le ventose. Il polipo, quello con la “i”, invece è sì un animale, ma senza testa, immobile, quasi un fiore.
Ancora prima del cucinarlo è importante la scelta. Da non scartare l’opzione congelata (più economica) del polpo perché il freddo migliora il prodotto. Il polpo per l’80% è fatto di acqua e così i cristalli provocati dal congelamento spezzano le fibre della carne rendendola più morbida.
Al momento dell’acquisto fate anche caso alle ventose sui tentacoli: se le file sono due e simmetriche vuol dire che il polpo è di scoglio; se c’è solo una fila di ventose, il polpo è bianco e di sabbia, quindi meno pregiato.
Un errore da non fare assolutamente è cuocerlo troppo a lungo. Al massimo 30-40 minuti, poi diventa duro. L’acqua deve essere poca. «Il polpo va cotto nell’acqua sua», sostiene Francesco Serriello, chef dell’Eolo di Amalfi. «Io al massimo uso mezzo bicchiere di acqua, oppure di vino. I tannini tendono a sfibrarlo. Comunque in poca acqua e nella pentola a pressione, sprigiona i suoi stessi succhi e non risulta gommoso».
Resta da risolvere il problema della forma dei tentacoli. Chi li vuole ben dritti, cuoce il polpo immergendolo nell’acqua ancora fredda, così le fibre si allungano. Se li vuole arricciati, immerge il polpo in acqua bollente tenendolo per la testa. Le vecchie nonne lo facevano – quasi fosse un gesto scaramantico – tre volte. Buttavano pure nell’acqua un tappo di sughero sostenendo che ammorbidisse la carne.
L’enzima
In effetti nel sughero c’è un enzima che provoca la reazione. Alessandro Negrini, bravissimo chef di Aimo e Nadia a Milano, ha sbalordito il pubblico di una fiera in Spagna – dove il polpo è quasi una religione – chiudendolo in un sacchetto di plastica con acqua e sale e poi cullandolo.
Per venti minuti. «Un modo ancestrale – ha spiegato – per lavorarlo. Alla fine basta tagliarlo e mangiarlo, crudo. È morbidissimo». Nei ristoranti stellati o in semplici trattorie, comunque non manca mai dalla carta. Diecimila le ricette. Una su tutte è di Lorenzo Iozzia a Casa Iozzia a Vitorchiano: dopo averlo cotto lo abbatte a meno 40 gradi e lo seziona da freddo.
Con la testa ci fa un brasato con cui prepara un gelato che serve insieme al polpo. Il piatto è completato da crema di patata, finger lime, alga fritta, maionese di tuorlo marinato, clorofilla di prezzemolo e aria di acqua di cottura dello stesso polpo. Non importa se lo chiama polpo o polipo: è buono davvero.