Street food
Spuntino spezza fame, veloce pausa pranzo, aperitivo serale, ora anche gourmet, servita al tavolo con piatto e posate. L’alta cucina – poveri noi! – ha raggiunto anche il mondo del più popolare cibo di strada: la piadina. Un disco di pasta da 25 centimetri di diametro, cotto su una padella (meglio se sulla lastra di ferro chiamata testo) o di terracotta (come prescrive Casa Artusi a Forlimpopoli).
Farcita col bendidio che si vuole, gli accompagnamenti ora sono sempre più arditi. La piadina scura – per esempio – è impastata col nero di seppia e farcita con mazzancolle, insalata e pomodoro. C’è una versione con bresaola, melanzane arrostite e pecorino barricato. Aalcuni al classico squacquerone aggiungono fichi caramellati e mandorle tostate. La Cantabria Roll è fatta con le costose alici del mar Cantabrico (senza sale e il burro usato al posto dello strutto) e ripiena di erbette all’aglio. Insomma, non più solo “cibo nazionale dei romagnoli” (lo scrisse Giovanni Pascoli nel 1909).
Le imitazioni
Immancabile in tutte le aree di sosta stradali, non c’è bar da Nord a Sud che non la serva. La patria comunque è – e resta – la Romagna dove opera anche il Consorzio Igp attentissimo a tutelarne il marchio.
Guai a definirla “romagnola” se è fatta lontano da casa. Le imitazioni sono del resto il prezzo del successo. La Doxa certifica che è il secondo street food più apprezzato (col 41%), appena dietro le pizzette (42%) e prima dell’arancino/a made in Sicily (33%). Addirittura non c’è gara quando la scelta è tra piadina e tramezzino: il 73% degli italiani sceglie la prima (sicuramente a Roma le percentuali sarebbero diverse).
«Nato come cibo semplice, testimone della vita rustica e campagnola, è diventato di largo consumo», racconta Alfio Biagini, presidente del Consorzio di Promozione e Tutela. A cercarne le origini storiche fu proprio l’autore della Cavallina storna. Pascoli rinvenne tracce letterarie nell’Eneide di Virgilio e prima ancora in studi sugli Etruschi che utilizzavano un sostituto del pane fatto a forma circolare con farina grezza e cereali. «Per centinaia di anni – afferma Biagini – la piadina è stata per i poveri un sostituto del pane».
Poveri sono gli ingredienti essenziali: farina, acqua, strutto, sale e pochissimo lievito o, in alternativa, bicarbonato. Lo strutto in molte zone d’Italia è sostituito dall’olio d’oliva.
L’anice
«Gli ingredienti usati per l’impasto – spiega Francesca De Lucchi, di Divina Piadina – devono essere attentamente selezionati. Io consiglio uno strutto di qualità, meglio se microfiltrato. Stessa attenzione deve essere usata per la farcitura, prodotti freschi e preparati al momento».
Dal punto di vista del consumatore, «la piadina è buona e digeribile – precisa Francesca – quando la pasta non lascia l’unto sulle dita, ma non dovrebbe neanche essere troppo asciutta». La più tradizionale è con lo squacquerone, formaggio molle tipo stracchino. Ma meglio la sfogliata riminese, la leggermente più alta di Riccione, quella con più strutto di Ravenna oppure all’odore di anice come a Forlì? Per provarle e decidere non resta che andare giovedì a Rimini alla Piadina Night, accompagnati fino all’alba dalla mazurka romagnola dell’orchestra Casadei.