Trasformare in un’opportunità economica e ambientale l’invasione di centinaia di pesci, meduse, gamberi e altre specie marine aliene nel Mediterraneo. Colpa del cambiamento del clima e del processo di tropicalizzazione che ha aumentato la temperatura dell’acqua. Dal pesce scorpione a quello coniglio, dagli sparidi al granchio blu. Una specie quest’ultima molto diffusa in Italia, tanto che si sta già pensando di creare una nuova filiera puntando anche sul trasformato. Basti pensare che gli Usa hanno sviluppato una nuova tecnologia per l’estrazione della polpa.
È la nuova frontiera messa in atto dai pescatori di molti Paesi del Bacino, alcuni dei quali (Cipro, Egitto, Grecia, Libano, Israele, Siria e Turchia), con il sostegno della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (Gfcm) della Fao, che tra i vari compiti ha quello di monitorare e gestire le specie invasive. «Attenuarne l’impatto sugli ecosistemi marini sono attività costose e spesso impossibili – fa sapere Miguel Bernal del Gfcm – e la pesca commerciale si dimostra lo strumento più efficace».
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Le specie aliene apparse nel Mediterraneo
Del resto sono state individuate nel Mediterraneo più di mille specie aliene, di cui oltre la metà vive in modo stabile con una tendenza ad aumentare. La soluzione è stata quella di formare i pescatori a catture nuovi pesci e i consumatori a mangiarli. Nella Turchia sudoccidentale, dove in alcune aree le invasioni possono raggiungere l’80% delle catture, è nato il mercato del pesce scorpione e degli sparidi. Stessa cosa in Libano dove si aggiungono il pesce chimera e la triglia di Forsskal che stanno diventando fonte di reddito. Significativo il caso della Tunisia, dove due specie di granchio blu stavano mettendo in pericolo la pesca tradizionale per diventare oggi un vero proprio business.
E in Italia?
In Italia a farla da padrone è il granchio blu, simbolo della resilienza ai cambiamenti climatici. Questa specie, tra le cento più invasive del Mediterraneo, tollera alte e basse salinità e sopravvive a temperature dai 2 ai 40 gradi. «Nuotatore forte, vorace e veloce, da qui la denominazione commerciale di granchio nuotatore, è in grado di distruggere le reti per sottrarci vongole, cozze, crostacei e pesci», dice all’ANSA Vadis Paesanti operatore e vicepresidente di Fedagripesca-Confcooperative Emilia Romagna, «ma sta diventando una risorsa, visto che le sue carni sono sempre più apprezzate e la commercializzazione su ampia scala potrebbe rivelarsi in futuro l’unica arma utile a limitare la sua espansione».
Del resto, furti da parte dei cinesi denunciati a Goro negli ultimi giorni la dicono lunga. Ma non è una novità, visto che in Usa e Messico ne finiscono in cucina 60 mila tonnellate ogni anno, con un costo a granchio blu che nella versione reale, arriva a 150 euro al chilo. In Italia i listini di vendita all’ingrosso sono ancora molto contenuti e oscillano tra i 2 e i 10 euro al chilo. Al ristorante il prezzo si aggira attorno ai 15 euro ma dipende molto dal locale. I margini di crescita comunque ci sono tutti, visto l’interesse della cucina asiatica.
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