La tradizione
Il nome Maurizio Landi probabilmente non vi dirà nulla. Il cuoco bolognese è finito su tutti i giornali italiani anni fa, dopo essere stato licenziato in tronco a Lione per aver cucinato la pasta troppo al dente. Anni dopo è arrivata la sua rivincita con la kermesse “al dente”. Migliaia di ristoranti da tutto il mondo hanno aderito inserendo nei loro menù primi piatti cotti rigorosamente all’italiana. Una bella soddisfazione per lui. Del resto la legge italiana stabilisce che per produrre spaghetti&co si può usare soltanto semola di grano duro (e mai il tenero), perché contiene quel glutine tenace che permette alla pasta secca di mantenere la cottura e di restare al dente.
Stili di vita
«Tendiamo a immaginare la pasta come un prodotto immutabile, ma in realtà questo piatto ha accompagnato nel tempo il cambiamento dei nostri stili di vita», spiega Luigi Cristiano Laurenza, legale dei pastai di Unione Italiana Food. In futuro c’è chi vede già tagliatelle alla spirulina o pennette agli insetti, magari stampate in 3D. In attesa, cerchiamo di cucinare bene la pasta al dente che – attenzione – non vuol dire crudigna ma cotta al punto giusto. E bisogna anche sapere che la pasta non ha avuto sempre questa consistenza. Tutt’altro. I ricettari rinascimentali ce la tramandano usata come contorno della carne (come fanno, inorridendoci, oggi i tedeschi) e abbondantemente scotta.
Una questione psicoanalitica
Non è solo un problema di gusto, ma quasi psicoanalitico. Marino Niola, tra i massimi antropologi italiani, spiega che «il maccherone nel rimanere duro (caratteristica maschile per eccellenza) si colloca così tra crudo e cotto, maschio e femmina, duro e molle, configurandosi come il più crudo fra gli alimenti cotti e il più cotto tra gli alimenti crudi». Abbandoniamo questo tema prima di scomodare Freud che in Edipo in cucina paragona l’indigestione dei maccaroni al ragù all’unione incestuosa con la madre. Proprio per non avere indigestioni, la pasta al dente è ideale.
Digeribilità
«La pasta cruda non risulta digeribile perché non è attaccabile dagli enzimi digestivi. La pasta
scotta nel tubo digerente tende a formare un impasto colloso che non consente la digestione.
Quindi non cruda, non scotta, ma al dente», afferma Giuseppe Romano lo chef campano con ristorante in Calabria che firma la ricetta di oggi.
Elio Sironi, chef di tendenza al Ceresio 7 di Milano, teorizza addirittura la cottura “passiva” della pasta. «Deve cuocere – spiega – solo due minuti a partire dal bollore, ovvero dopo che l’acqua ha ripreso a bollire in seguito al versamento della pasta sul fuoco acceso. Poi bisogna spegnere il fornello e coprire la pentola con il coperchio: in questo modo la pasta continua la cottura passivamente fino al termine dei minuti previsti. Esempio, se delle linguine devono cuocere 11 minuti, vorrà dire che cuoceranno 2 minuti a fuoco acceso e i restanti 9 minuti a fuoco spento e coperte».
Più banalmente, per tutti noi che non siamo chef di grido vale la indimenticabile regola del “mordimi”: non fidarti del tempo indicato sulla confezione, ma assaggia davvero. Ce l’ha insegnato la nonna che in cucina aveva sempre ragione.