Legumi
Le fave, felice totem della gastronomia popolare di primavera (ma non solo!) possono vantare quarti di nobiltà molto antichi. Conosciute già nell’Egitto dei faraoni, nel mondo romano divennero protagoniste di numerose ricette, tutte arricchite da complesse miscele di erbe, spezie e condimenti. Marco Gavio Apicio, gastronomo e cuoco del tempo di Tiberio, nel suo monumentale De Re Coquinaria (un vero e proprio manuale di cucina del tempo dei Cesari) ne racconta una gustosa preparazione nella quale le fave vengono lessate, profumate con pepe, coriandolo, cumino, finocchietto e quindi stemperate con vino e garum (la salsa per eccellenza, molto vicina alla nostra colatura di alici). Un piatto che avrebbe fatto orrore a Pitagora che, secondo il filosofo Porfirio, evitava anche di attraversare un campo di fave.
L’allergia alle fave
Senza dubbio, le fave erano associate al culto dei morti, forse anche per via della macchia nera che tinge i fiori bianchi e che ricorda la lettera theta dell’alfabeto greco, la stessa di thanatos, la morte. «Questa però è la versione colta», scherza Andrea Pedemonte Cabella, produttore a Sant’Olcese in Liguria di un mitico salame e guru di una aristocratica confraternita dedicata alla sua tutela. «Intendo dire che magari Pitagora soffriva di favismo, una alterazione del metabolismo che può generare conseguenze gravissime per coloro che dovessero consumarne. Peccato, perché da noi le fave, il nostro salame – ça va sans dire – la focaccia, e un buon vino bianco, sono la più semplice e gioiosa celebrazione dell’arrivo della primavera».
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A Roma le fave sono protagoniste di piatti di gagliarda convocazione di sapore per la loro associazione frequente col guanciale (che, per alcuni puristi, le rende più grevi) come contorno, con le fettuccine, o ancora nella loro apoteosi, la vignarola. «Il piatto non ha una codificazione rigorosa – spiega Marcello Romano, chef dell’Hassler Bistrot a Roma – Fave, piselli, porro, carciofi, lattughino sono una costante: al resto ci pensa la primavera… o lo chef: nel mio caso la vignarola la associo a una lasagnetta tartufata».
Il mondo delle zuppe è ricco di ricette a base di fave. In Catalogna le abbinano con cipolla, pancetta e salsiccia, mentre a Huelva si gustano le habas con chocos, i calamari e, ancora, nel Sud della Francia, l’iconico cassoulet (un umido di carni, legumi e verdure) sembra sia nato con le fave, e non con i fagioli, come oggi è uso più frequente.
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La vellutata
Per i vegetariani puri, niente di meglio della bobba di Carloforte, a base di fave secche, basilico, aglio, pomodori, carote e zucchine, della ncapriata di fave e foglie pugliese (quasi una vellutata di sapori intensi) o, ancora, del potente macco siciliano, profumato col finocchietto e realizzato con la fava larga di Leonforte, presidio Slow Food. Poi, per tornare a sapori antichissimi, un assaggio obbligato va al ful mudammas egiziano, a base di fave secche stufate in un pentolone di rame, aggiustate con aglio pestato, prezzemolo, cipolla, cetriolo, cumino, peperone e uovo sodo. E, sempre dall’Egitto arrivano i falafel, diffusi in tutto il Medio Oriente anche nella versione a basi di ceci, squisite frittelle street food, speziate con un trito di cipolla, aglio, cumino e prezzemolo.