A partire da giugno, arriverà in Italia El Niño, un anticiclone africano che farà salire temperature tra 1 e 2 gradi oltre la media del periodo su buona parte dell’Europa, Italia compresa.
Estati torride e inverni miti, lo scorso ha segnato temperature superiori di 1,44°C rispetto la media, stanno causando un mutamento del paesaggio e della distribuzione e stagionalità delle coltivazioni dei prodotti più tipici del made in Italy. Per esempio, per effetto dei cambiamenti climatici, la coltivazione dell’ulivo è arrivata a ridosso delle Alpi, nello specifico in provincia di Sondrio, spostando l’ultima frontiera nord dell’olio d’oliva italiano oltre il 46esimo parallelo.
«Oltre che per i cambiamenti del clima – spiega Ivano Foianini della Fondazione Fojanini di Studi Superiori di Sondrio – l’ulivo è presente nelle nostre zone perché la fascia retica valtellinese ha un clima tipicamente mediterraneo. La Valtellina ha un andamento anomalo all’interno dell’arco alpino dove tutte le valli si formano per erosione perpendicolarmente alla catena principale seguendo linee di massima pendenza. La Valtellina, invece, è sulla Linea insubrica e si trova quindi ad avere un andamento parallelo alle due catene retiche da una parte e orobie dall’altra che la proteggono dal freddo eccessivo. Questo posizionamento ha sviluppato a un clima che, anche se in maniera altalenante, da sempre ha favorito la coltivazione dell’olivo».
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Uno studio della professoressa Giancarla Maestroni, esperta di coltivazioni e alimentazione del passato, dà ragione al tecnico e, ripercorrendo la storia dell’olivo in Valtellina, data la sua introduzione all’epoca romana. La studiosa cita un trattato agronomico di Saserna, dal quale emerge che nel Nord Italia il clima era diventato più mite rispetto a causa di un riscaldamento climatico nel periodo tra Repubblica e Impero, tanto che in alcune regioni in cui prima era impossibile la coltura di olivi, si era in seguito propagata, arrivando rapidamente oltre le Alpi e raggiungendo il centro della Gallia.
Intorno all’anno 1000 in Valtellina si riparla dell’olivicoltura, in concomitanza con l’optimum climatico che si è protratto fino al XIV- XV secolo. Seguendo un fil rouge di alternanza climatica che si dipana per oltre cinque secoli, la storica riporta che “nei primi del Novecento nella contrada S. Rocco del medesimo Comune, in un luogo ben riparato dai venti e con un clima particolarmente dolce, vi allignassero l’agave e un olivo della varietà Moraiolo”.
«La presenza dell’olivo in Valtellina fin dai tempi antichi – prosegue Foianini – è testimoniata anche da molti toponimi. Abbiamo Crap de l’uliva a Montagna; Vialle olivarum a Bianzone; Prato oliveto in un pianoro di Teglio; Viale delle olive a Boalzo; L’oliva o L’olivella a Gordona; L’ulivè a Poggiridenti… solo per citarne alcuni».
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L’olio per la Chiesa
Diversamente dai popoli del Mediterraneo che hanno impiegato da sempre l’olio come condimento, le popolazioni montane lo regalavano alla chiesa per alimentare le lampade votive e per essere impiegato durante le celebrazioni e la somministrazione dei sacramenti. In cucina, infatti, venivano usati unicamente grassi animali come il burro, il lardo o lo strutto abitudine che ultimamente è cambiata a favore del più sano olio d’oliva.
Spinti dalle mutate abitudini alimentari e dalla necessità di recuperare terreni incolti, negli anni ’90 del secolo scorso alcuni pionieri delle zone di Ardenno, Poggi Ridenti e del morbegnese più vicino al Lario hanno iniziato a piantare ulivi.
«La Fondazione Fojanini – ricorda il tecnico – notando l’interesse degli agricoltori per l’olivo ha iniziato a creare campi sperimentali dove fare delle prove di adattamento della specie in zona montana. Poiché l’olivo è una pianta con un ciclo vegetativo molto lungo stiamo raccogliendo adesso i risultati dell’elaborazione dei dati, a più 30 anni dall’inizio della sperimentazione».
Dal documento della Fondazione si evince che la coltivazione dell’olivo in Valtellina è vincente perché “L’olivo è l’unica specie in grado di resistere al caldo, al vento e alla siccità, e quindi riteniamo sia l’unica specie botanica in grado di sostituire la vite in quelle aree terrazzate particolarmente impervie ed esposte”.
Inoltre “L’olivo non va a minare o gravare sulla stabilità dei terrazzi, anzi l’apparato radicale fascicolato e molto espanso, trattiene il terreno e aiuta il consolidamento dei muri a secco”. Infine “L’olivo è una pianta sempreverde e dall’alto valore estetico, di cui ne beneficia il paesaggio soprattutto nel periodo invernale”.
Le cultivar
Le varietà coltivate in Valtellina sono le classiche diffuse in Toscana (Leccino, Pendolino, Frantoiano, Maurino e Moraiolo) e in Lombardia (Grignan e Bianchera veneta). «Abbiamo stretto una collaborazione col centro di ricerca Crea-Olii di Rende in provincia di Cosenza per inserire nuove varietà nazionali ed europee. Per esempio, la Coratina meridionale sta dando buoni risultati anche da noi cosiccome la Leccio dal corno che è rustica molto resistente al freddo e garantisce produzioni costanti».
Il frantoio in Valle
Oggi le olive valtellinesi vengono molite nei frantoi lariani di Biosio e Lenno che, con l’aumento della produzione che lo scorso anno ha sfiorato i 1000 quintali, non riescono più a soddisfare la richiesta. Inoltre, avendo le piante valtellinesi meno di 10 anni e la volontà a realizzarne nuove coltivazioni, è facilmente prevedibile che la produzione aumenterà nel prossimo decennio accentuando il collo di bottiglia dei frantoi lecchesi e comaschi.
Quindi è molto sentita la necessità di un frantoio locale per soddisfare esigenza reale e per stimolare la coltivazione. Così la Provincia ha stanziato parte dei fondi per la realizzazione di un frantoio in Valle. «Il frantoio – conclude Foianini – permetterà la nascita di un’associazione che dia il giusto riconoscimento a un olio di montagna dalla produzione molto faticosa e di elevata qualità. Il nostro olio rientra nella categoria fruttati medi con un contenuto di polifenoli di 500-600 mg/kg e dai toni molto freschi ed erbacei con note di spezie e anice stellato. Se non vogliamo discostarci o fare della concorrenza sleale a oli di pari qualità il cui prezzo si attesta mediamente intorno ai 30 euro/litro, diventerà necessario creare un disciplinare che identifichi e permetta di riconoscere l’olio valtellinese come un olio di alta qualità. Questo perché nella percezione comune l’olio di qualità è strettamente legato agli ambienti caldi mediterranei, mentre gli oli di montagna vengono percepiti come “olietti” e questo a maggior ragione per la Valtellina dove si pensa alla montagna, allo sci, agli alpeggi, al formaggio e al burro buono. Il messaggio che dovrà passare invece che anche in zone di montagna come la nostra ci sono le condizioni pedoclimatiche per produrre oli extravergini che non hanno niente da invidiare a quelli provenienti da zone con maggiore tradizione olearia. A giocare a favore risulta il fatto che sono produzioni di nicchia, che crescono ai margini dell’habitat di coltivazione della specie e quindi con minori problematiche fitosanitarie, in primis la terribile mosca dell’olivo. Produzioni limitate, olive sane, poco mature, raccolte in tempi brevi e per la maggior parte in modo manuale, stivate in contenitori arieggiati di modica capienza e subito portate in frantoio per la molitura. Questo modo di operare nel rispetto delle migliori pratiche agronomiche è quindi il motivo per avere produzioni che, se pur di nicchia, sono di altissima qualità. E questo dobbiamo comunicarlo soprattutto fuori dalla Valle visto che, a tutt’oggi, il 90% della produzione è per uso familiare mentre il restante se lo contendono i ristoranti della zona e i negozi di prodotti tipici».