Roma è una città gastronomicamente bizzarra. Più facile trovare ristoranti sardi o abruzzesi che cucine del mondo (che peraltro non mancano). Le ondate di immigrazione verso la Capitale hanno infatti costruito nel tempo, insieme alle comunità, anche delle cucine con preziosi repertori di ingredienti e di ricette.
Il baricentro è spostato verso il Centro-Sud, sparito il mitico Toulà, mancano grandi interpretazioni della cucina del Triveneto, della Lombardia o del Piemonte (fatta eccezione per il felice avamposto di Beppe e i suoi Formaggi). Va meglio con la Liguria, gagliardamente rappresentata dagli aperitivi con focaccia di Gianni Ruggiero di Sogno Autarchico, dal buon pesto e dalla focaccia col formaggio di Maxelà alle Coppelle.
La cucina emiliana, tra le più antiche ad attestarsi a Roma, ha validi indirizzi dalla capostipite Cesarina, al modaiolo Bolognese di piazza del Popolo. Per la marchigiana: vera nicchia di eccellenza del Ceppo ai Parioli, ma anche espressa dalla Trattoria Monti. Di matriciani, Maielle, Abruzzi si può dire che hanno rappresentato uno dei filoni più forti del genere trattoria. Sapori napoletani trovano cittadinanza in più di una pizzeria doc, ma si alzano a livelli straordinari, meticciandosi con grande creatività, al San Lorenzo di Enrico Pierri ed Elena Lenzini.