Il fenomeno
«Non riesco a immaginare un mondo senza musica. Sarebbe come immaginare un mondo senza mortadella: impossibile!» Lo sosteneva tempo fa Zucchero Fornaciari. Che in un una delle più note canzoni – Cuba libre – aveva precisato le sue priorità: «Mi piace la Bologna e poi mi piaci tu». Dal bel color rosa, profumata, vellutata in bocca e con un sapore chiaro, la lussuriosa mortadella è del resto uno dei simboli irrinunciabili del mangiare italiano.
Sicuramente romane – con buona pace dei bolognesi – sono le sue origini quando era aromatizzata al mirto. Il nome deriva infatti da myrtatum oppure mortarium, il mortaio per schiacciare la carne di maiale. Poi Boccaccio nel Decameron citò il mortadello. Ma è Bologna che vanta il primo disciplinare di produzione. Era il 24 ottobre 1661 quando il cardinal Farnese emanò il “Bando e provisione sopra la fabbrica delle Mortadelle e salami”. La ricorrenza verrà celebrata giovedì dal Consorzio dei produttori con l’inaugurazione di un’ala del Museo della Storia di Bologna interamente dedicata al salume e degustazioni a Fico.
Nella capitale
A Roma la “mortazza” si gusta con la rosetta o la pizza bianca. È il salume più amato, popolare e a buon mercato, come nel resto d’Italia. In Sicilia si dice che «a’ mortadella costa picca e sape bella», costa poco ed è buona. Eppure un tempo era un prodotto riservato all’élite di buongustai ricchi che potevano permettersi un prezzo superiore a quello del prosciutto, dovuto al valore della materia prima e ai più alti costi di produzione e del lavoro degli artigiani specializzati.
Oggi come ieri è fatta di carne suina: la parte rosa – quella più magra – è la muscolatura striata, prevalentemente dalla spalla. Per i lardelli dal colore bianco si utilizza il grasso di gola, cioè la parte più pregiata dell’animale. «In cucina è un sapore protagonista», sostiene Luca Marchini, stella Michelin a Modena, presidente di JRE, i giovani ristoratori europei.
«Questo orgoglio gastronomico tutto italiano – dice Marchini – è tra gli insaccati più utilizzati, magari per insaporire altri impasti, gustato con del semplice pane o servito come amuse bouche, che ad esempio io propongo in crema in una pomme soufflé». Però, come per ogni prodotto, la mortadella necessita di rigorosa qualità. «Quindi – aggiunge Marchini – va scelta senza conservanti, avvolta in budello naturale, da maiali allevati su suolo italiano con foraggi naturali».
I criteri
Lo chef modenese indica anche i criteri per valutarla: «Nei gusti e profumi più pregiati si ritrova un lievissimo tono d’aglio. L’impasto è consistente al morso, ma scioglievole una volta in bocca. Anche il colore è un ottimo indicatore di qualità. La mortadella è rosa, certo, ma quella da scegliere ha un tono poco acceso. La parte olfattiva è essenziale, come la sua facile digeribilità». La bontà dipende moltissimo dai lenti tempi di cottura e dalla qualità delle spezie usate.
Tra le produzioni industriali le migliori – stando alla guida salumi del Gambero Rosso – sono Ibis (Parma), Lem Carni (Bologna), Villani (Modena). Tra le artigianali la Bidinelli (Reggio Emilia). Ma ci sono anche le varianti del resto d’Italia. Spesso sembrano salami, come quella di Camaiore (con lombo, prosciutto, coppa, spalla e pancetta) e Prato (più carica di spezie). In Abruzzo a Campotosto la concia di aromi è segreta e nell’impasto è inserito un lardello lungo una decina di centimetri. Davvero caratteristica, come il nome (per forma): coglioni di mulo.