Arcangelo Dandini, patron dell’Arcangelo in Prati, oltre che autore di due libri di ricordi e ricette, è molto fiero delle sue origini castellane. Per lui la vignarola è uno di quei piatti che esprimono la stagione e l’occasione, oltre che la fantasia di chi se la preparava. «È un po’ come l’acquacotta della Tuscia: un formato molto flessibile. Un piatto della fame, un vero piatto unico. Noi usavamo l’acqua buona del pozzo e le verdure potevano variare, così come qualche erbetta a profumare, spezzata a mano a fine cottura, perché ne resti la fragranza.
Quello che contava, proprio in quanto piatto unico, era l’aggiunta di qualche fetta di pane tostato e di pecorino a scaglie». Un piatto della memoria, della campagna romana e della primavera, certo, ma anche un piatto non codificato, e quindi affidato a tante tradizioni e variazioni personali.
Non a caso della vignarola non si trova traccia nel testo fondamentale sulla cucina romana scritto nel 1929 da Ada Boni. In questa stagione non è difficile gustarla nei ristoranti classici di cucina romana, anche se non compare necessariamente tutti i giorni in carta. Rigorosa quella trasteverina di Paris, mentre alla Vecchia Roma di piazza Campitelli, la giovane chef Raffaella Palladino ne prepara a volte una sua declinazione seduttiva giocata sui profumi.
La ricetta della Vignarola di Guido Anastasio Pugliese
Guido Anastasio Pugliese la cucina ce l’ha nel sangue: provare per credere i crostini col patè di fegatini con purea di mele della mamma Maria Rosaria. La sua passione per il Giappone si vede dell’attenzione cromatica ai piatti.