La pietanza
La sfida Roma-Milano si gioca su tanti terreni, ma ce n’è anche uno tutto gastronomico. Quello della polpetta. D’accordo che il padre nobile della cucina italiana unificata Pellegrino Artusi aveva sentenziato netto «non crediate che io abbia la pretensione di insegnarvi a far
polpette. Questo è un piatto che tutti lo sanno fare, cominciando dal ciuco il quale fu forse il primo a darne il modello al genere umano », ma tutto questo non toglie comunque al piatto una sua forte connotazione gourmet. Al punto che a Milano, i “mondeghili” (la versione lombarda della polpetta, un nome che deriva dalla corruzione dello spagnolo “albondigas”) dal 2008 sono tutelati addirittura da una De.Co. (denominazione comunale) che ne definisce il rigoroso disciplinare.
D’altra parte, la specifica parola polpetta compare per la prima volta in area lombarda alla
fine del ‘400 nel Libro de Arte Coquinaria del Maestro Martino da Como, cuoco al servizio del Patriarca di Aquileia. E questo senza contare la citazione manzoniana dai Promessi Sposi quando Renzo invita Tonio e Gervaso a mangiare con l’oste che annuncia enfatico «E ora vi porterò un piatto di polpette, che le simili non le avete mai mangiate». Polpette che probabilmente non erano distanti da come sono servite oggi nel territorio milanese: avanzi di carne lessa, uova, prezzemolo, abbondante scorza di limone tritato, pane bagnato nel
latte e, soprattutto, frittura al burro.
Polpette di carne alla birra, una variante golosa per un secondo piatto speciale
Le polpette al sugo della famiglia Roscioli
«Da noi niente frittura al burro», esordisce Maria Elena Roscioli, sorriso e grinta, ma soprattutto competentissima, giovane anima della Salumeria Bistrot di famiglia nel cuore di Campo de’ Fiori. «Nel nostro locale noi seguiamo uno dei filoni della polpetta romana, un filone ottocentesco, non propriamente povero. Si parte infatti dal macinato di manzo arricchito con spezie e mortadella, appena sigillato da una frittura in olio e poi stufato nella salsa di pomodoro, che è l’ingrediente che ci porta all’800, quando cominciò a diffondersi
nei diversi ricettari nazionali».
Annibale Mastroddi, guru dei macellai romani con bottega storica in via di Ripetta e cultore delle tradizioni, ama invece evocare l’altro filone, con un classico della cucina di recupero, le polpette di bollito che «si fanno con la carne bollita avanzata: tutto a coltello, prima la fetta, poi le striscioline, infine il taglio a grana fine, prima di costruire l’impasto con gli altri ingredienti e friggere».
Da questo punto, sono davvero tante le possibili variazioni di sapore a disposizione degli chef. Alessandra Ruggeri, tosta e sempre frizzante, alla sua Osteria della Trippa, le polpette
le propone con salsa alla cacciatora, mentre la famiglia Mancinelli, nella loro gioiosissima trattoria, Roberto e Loretta, la combinano con una base di cicoria ripassata.
Polpette vegane di lenticchie e pomodori secchi: una tira l’altra!
Il filone cardinalizio
Il terzo filone non si porta dietro nulla della cucina dei Cesari che, con Gavio Apicio, cuoco e gourmet al tempo di Tiberio, col nome di “esicia omentata” ci aveva lasciato una ricetta di carne tritata con vino rosso, ginepro, garum (salsa di pesce fermentato) avvolta nella rete di maiale. È il filone papalino, cardinalizio quello che interessa, perché porta direttamente
ai pasticci di carne e ai polpettoni che ancora sopravvivono come alternativa “alta” alle popolari polpette. Piatti che furono carissimi anche a Ludwig di Baviera che, soffrendo di atroci problemi ai denti, mise a dura prova le capacità del suo cuoco, Theodor Hierneis (autore di un prezioso libro di memorie), costretto a servirgli solo piatti “teneri e spumosi”.