Lo sfizio
«Ma chi lo ha detto che dare del “salame” a qualcuno sia un’offesa? Io lo considero un complimento», ride Andrea Pedemonte Cabella, artigiano d’élite del più aristocratico salame d’Italia. Parliamo del Sant’Olcese, dal nome di un pittoresco borgo dell’entroterra genovese. Nel cuore della Val Polcevera i Cabella producono dal 1911 questa autentica rarità. Un mix di carne suina e bovina (per consentire una stagionatura perfetta, nonostante l’influenza del mare) viene macinata, legata a mano come in antico, e quindi collocata qualche giorno in un locale dove arde un braciere di legno di rovere, prima di passare circa tre mesi in ambiente asciutto.
Il risultato di aromi e di sapore è intenso, esaltato da una consistenza morbida che si presta anche a divertenti ricette: in torta con le patate, oppure a dare grinta a classici involtini
di vitello. Ma questo salame non è solo gastronomia, perché a Genova è diventato un vero e proprio fenomeno di costume. È infatti del 2011 la costituzione, ad opera del vulcanico Andrea Pedemonte Cabella, di un Nobile Protettorato per la tutela e valorizzazione di questo salume. Successo incredibile, al punto che la vecchia nobiltà e l’aristocrazia politica
e delle professioni a Genova hanno aderito con entusiasmo.
Col risultato che, al limitare dell’autunno, i gentiluomini con calze e cravatta rossa, le dame con un nastro rosso, si ritrovano a una processione davanti alla chiesetta di Sant’Olcese, con benedizione del salume, Santa messa, canti e cena gourmet finale.
La finocchiona
L’Italia dei salami parla davvero tante lingue. In Toscana si erge somma la Finocchiona di origine medioevale, quando il finocchio sostituiva il più costoso pepe come conservante. Amatissimo da Machiavelli, questo salame dalla consistenza morbida e dalla persistenza
aromatica si dice fosse anche caro agli osti truffaldini. Servendone una versione più carica di semi di finocchio, nascondevano al palato dei clienti la cattiva qualità del loro vino: insomma li “infinocchiavano“.
«Un salame aristocratico? Varzi, senza dubbio», dichiara Antonio Santini, dello stellatissimo Il Pescatore a Canneto sull’Oglio. «Basti pensare che, dai Longobardi ai monaci di San Colombano, questo salame soave e raffinato con bassa percentuale di grassi, veniva servito agli ospiti di riguardo già alla corte dei Malaspina».
Il castello
Massimo Spigaroli, per tutti il “Re del Culatello” nella sua Polesine Parmense, a ridosso del Po, i suoi salumi li tiene addirittura a stagionare nel castello (oggi anche raffinato relais) dei marchesi Pallavicino. «Io vado pazzo per lo Strolghino. Si ottiene dalla rifilatura delle parti magre del culatello. Si deve mangiare presto, è morbidissimo e lungo al palato. Il nome? La strolga in dialetto parmense è la strega. Probabilmente si dice così perché da come va lo strolghino si può prevedere come andrà la stagionatura dei salumi in preparazione».
La Ventricina
Impossibile infine non citare “il salame coraggioso”, che si produce nell’Abruzzo meridionale; la Ventricina, il dono nobile da portare nelle grandi occasioni. Il coraggio deriva dall’uso di parti nobili tagliate a coltello e condite con peperone rosso e peperoncino in polvere. Il risultato, quando arriva, è una vera bomba di sapore.