La tecnica
Ricercatissima dai gourmet – e quindi ormai carissima – è la colatura di alici di Cetara. Ma altro non è che l’erede del garum romano, cioè banalissima “fermentazione di interiora di pesce e pesce al sole”, come scriveva Marco Gavio Apicio nel De re coquinaria. Quando non c’erano i frigoriferi e prima che Pasteur dichiarasse guerra ai batteri, si ricorreva ai fermenti vivi per conservare il cibo impedendone il deterioramento e addirittura crearne di nuovi. Lo yogurt dal latte, l’aceto dall’alcol etilico, e ancora il pane, la pizza, la birra. Duemila anni dopo Apicio, anno più anno meno, la tecnica della fermentazione è diventata tendenza. «Una contemporaneità costruita partendo dal lontano passato», sintetizza Stefano Polacchi, caporedattore del Gambero Rosso.
Il cavolo
«Questa tecnica permette anche a ingredienti “stupidi” di sorprenderti», spiega Cristina Bowerman (pugliese, ex avvocato, un decennio passato negli Usa e ormai radicata a Roma) che a Trastevere vanta una stella Michelin. E cita il misero cavolo: «Grazie al lavoro paziente del cuoco, alle mani che pestano e che girano, all’acqua pura e al sale scelto con oculatezza, alla temperatura e al tempo che passa, il semplice cavolo si trasforma in kimchi, frizzante, amarognolo e sapido, umamoso, in poche parole, complesso».
Tra gli chef che esaltano la fermentazione, Salvatore Tassa, Tre Forchette del Gambero Rosso ad Acuto in provincia di Frosinone, addirittura sostiene che «niente più dei batteri autoctoni, figli dei luoghi in cui si trovano, riesce a marcare il cibo. Ogni luogo ha batteri differenti che interagendo con il cibo danno luogo a sapori e aromi differenti».
Anche all’Osteria Fernanda di Roma, poco distante dalla stazione di Trastevere, Davide del Duca associa spesso cibo fermentato a elementi grassi.
Intanto in Italia è arrivata, tradotta da Sonda (512 pagine, 19,90 euro), la Bibbia del guru mondiale Sandor Ellix Katz: Il grande libro della fermentazione. «Il cibo grazie alla fermentazione – spiega Katz – subisce una specie di pre-digestione da parte dei batteri. Il corpo assorbe e digerisce con meno fatica e il cibo vivo arricchisce la flora batterica nel nostro sistema digerente. Come la biodiversità è importante per l’equilibrio della terra, così il microcosmo del nostro corpo sta meglio con una flora batterica ricca».
La triglia
Tra gli chef che amano la fermentazione, al Tiglio di Porto Recanati, nelle Marche, c’è Enrico Mazzaroni (cuoco con due lauree, in Diritto Internazionale e in Storia delle Religioni), che utilizza la tecnica per abbinare alla triglia le albicocche. «Mi piace molto l’acidità unita al pesce e il contrasto che regalano le albicocche è davvero fantastico, in particolare con un pesce di carattere come la triglia. Le albicocche vengono latto-fermentate, affumicate e poi lasciate per un mese in soluzione salina al 3% al buio».
A Lucca Cristiano Tomei, una stella Michelin all’Imbuto, dice di “divertirsi” con la fermentazione perché «ha uno spettro aromatico molto vasto e complesso. Parti da una materia prima ottima e la esasperi. Ora è diventata una tecnica fighetta ma viene dall’esperienza della cultura materiale povera».
La ricetta dell’idromele di Sandor Ellix Katz
Più antico della birra, conosciuto nell’antichità come la bevanda degli dei, l’idromele è stata la prima bevanda fermentata amata dagli antichi Romani. Sandor Ellix Katz lo suggerisce quasi come introduzione al mondo della fermentazione. È molto semplice da fare: servono pochi ingredienti e… tempo! Ecco la ricetta.
Ingredienti
Preparazione
Step 1
Qualunque sia la dimensione, il contenitore va riempito per 1/4 di miele non pastorizzato e per 3/4 di acqua non clorata.
Step 2
Con maggiore percentuale di miele, la bevanda diventerà più alcoolica.
Step 3
Aspettare 10-15 giorni, dando una forte mescolata ogni giorno. (Attenzione, messa in frigo la fermentazione rallenta).
Step 4
Per variare o arricchire i sapori si possono aggiungere fiori o piccoli frutti.
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