I puristi amano dire che l’amatriciana dovrebbe, a rigore, essere considerata un piatto abruzzese, visto che il comune di Amatrice fu aggregato dall’Abruzzo al Lazio solo nel 1927 con la creazione della provincia di Rieti. Di fatto, questo piatto di pastori appartiene di diritto alla storia del gusto della Capitale. In principio fu la “gricia”, un nome forse dal borgo di Grisciano a poca distanza da Amatrice, dove sono sostanzialmente presenti tutti gli ingredienti come guanciale, pecorino e strutto.
Poi, lungo gli spostamenti dei pastori nella campagna romana, il pomodoro – a sua volta arrivato da Napoli – cominciò ad entrare nella struttura della ricetta. L’amatriciana si consolidò così rapidamente a Roma, anche grazie alla forte penetrazione di osti ‘matriciali’ che divennero autentici ambasciatori del gusto in città. Le regole antiche restano valide anche oggi. Scordarsi l’uso di aglio o di cipolla, sì al peperoncino, indispensabile il guanciale, così come il Pecorino (se possibile del territorio di Amatrice, meno salato di quello romano. Da consigliare la padella di ferro, mentre sulla pasta, pur con pareri discordi, l’orientamento sta tra spaghetti e bucatini. Insomma, impossibile resistere a un piatto semplicemente buono.