Contro il falso Grana padano arrivano gli 007 del Made in Italy. Un pool di ricercatori dell’università Cattolica di Piacenza è infatti in grado di rilevare le “impronte digitali” del formaggio dop e smascherare i prodotti contraffatti. Parte quindi la battaglia contro i formaggi taroccati, a cominciare dal celebre parmesan: quel formaggio che fa sobbalzare gli italiani sulla sedia al ristorante, ogni volta che all’estero se lo ritrovano su un piatto di pasta, ma che inganna tanti stranieri e purtroppo, anche in Italia, viene venduto per buono.
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E la contraffazione passa direttamente dal nome: dal parmesao brasiliano al reggianito argentino, dal parmesan perfect italiano prodotto in Australia a quello russo con tanto di confezione in cirillico. Dai poli caseari americani in Wisconsin, California e New York esce una gamma vastissima di parmesan che va dal falso parmigiano vegano a quello prodotto dalla Comunità Amish, dal parmesan vincitore del titolo di miglior formaggio negli Usa fino addirittura al kit per fare il parmigiano reggiano direttamente in casa in appena due mesi.
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La tecnica
Ma la battaglia prende il via a colpi di elementi biochimici, per frenare l’avanzata dei prodotti tipici italiani taroccati per i 5 continenti: il falso parmigiano reggiano nel mondo, infatti, supera quello vero. Un problema molto presente anche negli scaffali dei supermercati italiani.
E allora, per smascherare i formaggi simil-Grana, i ricercatori di Scienze agrarie dell’Università Cattolica di Piacenza, hanno messo a punto una tecnica emergente, nota come analisi metabolomica: «Lo scopo di questo lavoro preliminare – spiga il preside della facoltà Marco Trevisan – è stato quello di discriminare in base all’impronta chimica prodotti Grana Padano dop, di sicura provenienza e certificazione, da formaggi spacciati come tali nel mercato italiano e straniero.
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È possibile valutare le possibili differenze nel profilo di composti chimici, come acidi grassi, amminoacidi, metaboliti secondari, dettate dalle procedure di produzione. L’intero ciclo produttivo di questi prodotti dop è in grado di guidare i processi biochimici soprattutto durante la stagionatura, fase fondamentale della produzione, in cui il prodotto acquisisce le sue caratteristiche organolettiche distintive».
Una vera e propria “impronta digitale” in grado di capire la provenienza di materiali animali e vegetali, l’origine geografica tramite il livello di stress ambientale subito e la tipologia di sofisticazione, per capire ad esempio se un prodotto è puro o trattato con altre sostanze.
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Lo studio
Uno studio mirato sul Grana padano e sul Parmigiano reggiano che avvierà ulteriori studi di autenticità delle produzioni lattiero-casearie per rilevare la tracciabilità e l’autenticità delle produzioni su cui è in prima linea l’Emilia Romagna. Lo studio ha già dato notevoli risultati per smascherare i falsi prodotti italiani, tra i più venduti al mondo: «La tecnica – continua Trevisan – è stata già utilizzata, con altri parametri ovviamente, per analizzare e verificare l’origine dei pomodori, delle nocciole cilene, turche o italiane, del cioccolato e dei frumenti teneri per capire la provenienza tra canadese, ucraina, francese o austriaca».
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I risultati di una tecnica simile servono a tutelare sia i produttori italiani contro i concorrenti sleali che portano sul mercato prodotti contraffatti, sia i consumatori attratti da prezzi più bassi che rischiano però di ritrovarsi in tavola un formaggio dalla qualità scadente, non certificato, e proveniente prevalentemente da Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia e Lettonia.
La stretta sul parmesan è sostenuta da Coldiretti, in prima linea contro la contraffazione e in rotta con le politiche del mercato internazionale: «Il Canada ha legittimato il falso Parmigiano Reggiano che potrà essere liberamente prodotto e commercializzato con la traduzione di Parmesan. Il risultato è che nei primi tre mesi del 2018 in Canada sono stati prodotti ben 3 milioni di chili di falso Parmigiano Reggiano mentre le esportazioni dell’originale italiano in quel paese sono crollate del 10% in valore e del 6% in quantità rispetto all’anno precedente».