Alcolici
Italia, Paese di santi, poeti e navigatori. E anche di produttori di gin, visto che sono già almeno 300 le etichette made in Italy. «Sempre più aziende – racconta Mattia Pastori, mixologist tra i più noti – stanno lanciando propri brand. Grazie a una selezione di botaniche che punta tutto sulle peculiarità del territorio e sull’esaltazione delle eccellenze italiane».
La tradizione
Il gin – strano ma vero – fa parte delle nostre tradizioni. Perché a Nord nelle Langhe, al Centro sugli Appennini, al Sud sull’Aspromonte e sull’Etna cresceva tanto ginepro, la materia prima. Infusi sotto forma di elisir venivano prodotti già nell’800 dalla scuola medica di Salerno. Del resto, anche «il Gin Fizz – scrive Dario Comini su Mixology Reload edito da Gribaudo – originariamente era considerato un Eye Opener. Un cocktail da bere al mattino come ricostituente per il risveglio».
All’origine della qualità, allora come ora, infusione o macerazione. In aggiunta solo alcol puro, secondo il metodo di chi usa la dicitura London Dry. Nelle nostre campagne, invece, si aggiungevano aromi, altre botaniche o semplicemente la scorza di limone, come gli odierni Compound Gin, i gin composti. Da non confondere con i Bathtub Gin, letteralmente “gin da vasca da bagno”, i distillati clandestini nell’America del proibizionismo (se lo faceva in casa anche Umberto Eco che nel 1961 pubblicò la ricetta).
Gin, i termini giusti
Ecco, attenzione a usare i termini giusti. Se volete fare i fenomeni (andando oltre il banale
On the Rocks), potete sbirciare sotto al tavolo l’app Babbel che ha approntato il glossario. Scoprirete così che Stir&Strain vuol dire mescolato e filtrato (insomma il Dry Martini). Che Twistato è un drink a base di gin rivisitato con nuovi ingredienti. Se vi sentite poco audaci, ordinate un Jenever, il Dutch Courage, “coraggio olandese”, in voga durante la Guerra dei Trent’Anni.
Per dimostrare vera competenza, puntate però sulle novità. Ecco qualche dritta. Il romagnolo Baldo Baldini, il “sarto delle essenze”, ha aggiunto altri gin ai suoi famosissimi Paracelsus e Nostradamus, dedicati agli alchimisti del Cinquecento. Nel Nord-Est nel GioVe (Gin of Veneto, appunto) a ginepro, coriandolo e angelica (presenti in quasi tutti i London Dry) hanno aggiunto foglie di glera, il vitigno del Prosecco. In Sicilia è 100% siciliano il Messenion, creato con ginepro dell’Etna, finger lime dell’isola e aggiunta di rosmarino, nepita e finocchietto.
Il numero 86
Citazione meritano i coniugi Claudia e Alberto Borin (ex nazionale di judo, lui), che addirittura in Irlanda producono l’Upperhand Gin, con ginepro toscano, basilico ligure, bucce di limoni siciliani e aneto irlandese. Interminabile potrebbe essere infine l’elenco di quelli nati nelle tante gintonerie. Nato da poco è il Naturae Gin con bergamotto calabrese, scorza d’arancia, rosa canina, semi di coriandolo, mela e pepe cubebe.
Infine, i distillati a gradazione zero che, sempre con erbe ed essenze nostrane, ricreano il gusto del gin. Nascono così i mocktail (unione delle parole mock, cioè finto, e cocktail). Che sicuramente non vi faranno alzare il gomito ed eviterete un 86: il numero – spiega Babbel – col quale il barman avvisa il buttafuori che c’è un cliente da mettere alla porta.
La ricetta dello smoke gin tonic di Mattia Pastori, founder di Nonsolococktails
Smoke Gin Tonic è un cocktail dalle note affumicate, creato per la drink list di Cocciuto a Milano. La ricetta riprende la tradizione antica del gin, quando in passato veniva trasportato sulle navi in botti di legno. È stata riproposta in chiave moderna grazie allo smoked effect realizzato bruciando una chips di legno. Questo particolare procedimento, oltre ad essere molto scenografico, aggiunge una nota di carattere al cocktail.