La specialità
Tema: come misurare, senza ricorrere a più serie questioni religiose, l’importanza sociale di un santo. C’è chi conta le città di cui è patrono, chi a quanti neonati è imposto il suo nome, altri considerano il numero delle categorie professionali che si avvalgono della sua protezione.
Noi, che umilmente ci occupiamo di moda e gusto, scegliamo la via del cibo: chi è il santo più popolare in cucina e ha più piatti a lui dedicati? Con questo criterio San Giuseppe, del quale ricorre la celebrazione il 19 marzo, è il recordman. Nel bel saggio “Le festività religiose nella cucina della tradizione regionale” dell’Accademia Italiana della Cucina, doppia per numero di pagine e ricette il secondo in classifica, Sant’Antonio Abate. E lascia a distanza martiri e padri della Chiesa come Francesco, Giorgio, Giovanni e Lucia con soli due-tre piatti dedicati a testa.
Lo scandalo
Nessuno scandalo, quindi, il 19 marzo del 1950 quando all’interno della basilica di San Giuseppe al Trionfale a Roma, l’attore Checco Durante dedicò a “San Giuseppe frittellaro” una accorata preghiera. La frittella è, del resto, il top del giorno. Chiamate in tanti modi – bignè, zeppole, crispelle con la i oppure con la e, farciò in Piemonte, tortelli, sfinci se fatte col riso – si dividono in due grandi famiglie. «Quelle – spiega l’Accademia della cucina – che prevedono l’impasto preparato a freddo come una normale pastella dolce (farina, uova, zucchero, latte e lievito ed eventuali aromatizzanti) e quelle un po’ più laboriose con un impasto preparato a caldo e la successiva aggiunta di uova».
Poi ci sono le versioni più ricche, farcite di creme e con la ciliegina in cima, oppure – comunissime – fatte con le mele. In tutta Italia il fritto è il piatto del giorno di San Giuseppe. Proprio in questi giorni in Toscana girano venditori ambulanti di sommommoli (frittelle di riso) e sulle spiagge dell’Adriatico i frittellari di seppie. A San Giuseppe, più che l’olio bollente, tradizionalmente si usava un tempo lo strutto (grasso di maiale) quasi a simboleggiare una pausa dalle astinenze della Quaresima.
I riti
Questo perché segna l’inizio della primavera, celebrata già con i riti pagani dedicati a Proserpina, figlia di Cerere, dea del grano. Ed ecco il perché dei grossi pani di San Giuseppe, l’altro immancabile cibo della giornata, simbolo di abbondanza e rinascita dopo l’inverno.
Legate al pane sono in tutte le regioni del Meridione le tavolate di San Giuseppe. Tra le più note, quelle di Santa Croce Camerina, cioè la famosissima Marinella tv del Commissario Montalbano, dove il pane diventa una scultura barocca. Ogni “cucciddatu” pesa anche sette-otto chili e raffigura piante, animali e, spesso, la barba di San Giuseppe.
Qui la festa è un rito uguale da secoli: nelle case si preparano 13 piatti per i più bisognosi. Dopo la scoperta di quei luoghi grazie alla tv, sono ormai molti i turisti, ben accolti nelle case a patto di rispettare le consuetudini. Prendetene nota: troverete la porta chiusa, bussate allora tre volte ma nessuno vi risponderà. Se indugiate troppo, da dentro sentirete il padrone di casa rivolgervi a voi come foste la povera Sacra Famiglia: “Gesù, Giuseppe e Maria, o rapi tu, o rapu iu” (o apri tu o apro io). Insomma, accomodatevi e mangiate.