La pietanza
C’è chi gioca in Serie A e chi in B. Ma anche sui campi di B non mancano i fuoriclasse. Come avviene in cucina, per esempio, per tonno e sgombro. «Molti non sanno – spiega la veterinaria Valentina Tepedino di Eurofishmarket – che lo sgombro fa parte della famiglia Scombridae e che è la stessa alla quale appartengono i più rinomati tonni rosso, a pinne gialle e tonnetti.
Le carni dello sgombro, considerato meno pregiato, hanno caratteristiche molto simili sotto il profilo nutrizionale. In pescheria si trova anche il lanzardo, identico allo sgombro, ma con diverse macchiette tondeggianti sulla pancia. Quest’ultima specie è però ancora più economica perché ancora meno conosciuta».
Anche uno chef titolato come Ciccio Sultano (2 Stelle Michelin a Ragusa) contesta la discriminazione tra i pesci: «È la domanda a far salire il valore di un bene, non la sua bontà. La carne di una boga (o di un sauro o sugarello) non ha paura di confrontarsi con quella di una spigola o di un San Pietro. Anzi, il sauro crudo è eccezionale!».
Le barche a vela
Nel centro Italia la capitale indiscussa del miglior pesce è Anzio. Merito in parte di Papa Innocenzo XII che nel Seicento fece edificare un porto per la pesca sostenibile. «Già allora – racconta Luigi Crescenzi, sociologo che da alcuni anni si dedica alla valorizzazione del pesce del Tirreno – erano vietati strumenti come la rete in coppia tra due barche e c’erano limiti sulle quantità di pescato».
Le basse barche a vela erano denominate Manaide e questo è ora il nome dell’azienda di Crescenzi che mette sotto sale, sott’olio o anche solo in acqua e sale molte varietà di pescato. «Col pesce – dice – basta fare poco: bisogna rispettarlo». Sulle confezioni di Manaide è indicato il nome della barca da cui è arrivato il prodotto (al massimo 4-6 ore prima della lavorazione).
Unico in Italia, Crescenzi mette sotto vetro anche gli sconcigli, un tempo costosissimi molluschi perché dalla loro ghiandola veniva estratto il colore rosso porpora in voga in Vaticano. Ad Anzio, a testimonianza dell’antica tradizione ittica, ci tengono a dire che c’è via dei Salatori e citano Plinio il vecchio secondo cui il pesce – e il polpo in particolare – erano i migliori dell’intero Impero Romano.
Latte di fico
Ancora più remota è la citazione che fa Carmelo Chiaramonte, “cuciniere errante” e autore teatrale. «Io propongo l’uso dello sgombro citato da Archestrato di Gela 2.300 anni fa», racconta, «spruzzato con poco sale e origano, chiuso dentro una foglia di fico e cotto alla brace». «Il latte del fico regala una nota di gentilezza», spiega lo chef, « e consiglio la ricetta anche per molti pesci azzurri, perché hanno un odore che talvolta può dare fastidio e che così viene mitigato».