La fragola è femmina. Almeno nei nomi delle centinaia di varietà esistenti. Annabelle, Madeleine, Charlotte, Annablanca oppure Gorella, Malwina, Roxana o Mara des Bois (dei boschi). Così anche l’ultima nata, presentata in società la scorsa settimana a Rimini durante il MacFrut: Elodì. Molto dolce, ricca di vitamina C, con un aroma che ricorda i frutti del sottobosco, resistente alle manipolazioni. Gianluca Baruzzi, ricercatore del Crea (centro di ricerca del ministero dell’Agricoltura), racconta che è frutto di «incroci mirati nell’intento di introdurre nelle varietà moderne il sapore e i profumi di quelle antiche». Le fragole – è chiaro – sono diverse l’una dall’altra; molte ci sono tutto l’anno, ma proprio tra maggio e giugno maturano le più buone per darci una allegra scossa dopo il lungo torpore invernale. A scanso di equivoci, a proposito di scosse, smentiamone il presunto valore afrodisiaco, seppure basti accompagnarle a un flûte (se preferite, una flûte) di bollicine o intingerle nel cioccolato per creare comunque l’atmosfera magica.
L’origine delle fragole
La credenza nasce probabilmente dal mito sulla loro origine dopo l’omicidio di Adone per mano (in effetti, scagliandogli contro un cinghiale) del gelosissimo Marte. Le lacrime dell’innamorata Afrodite (altrimenti nota come Venere) toccando il terreno divennero piccoli cuori rossi, le fragole appunto. Altre ipotesi parlano di lacrime trasformate in boccioli di rosa e non è una contraddizione, essendo la fragola della famiglia delle Rosacee. Il vero frutto, però, sono gli acheni, cioè quei piccoli puntini che ricoprono l’infiorescenza (che noi chiamiamo fragola).
Straordinarie – forse le migliori d’Italia, sicuramente le più care – sono le piccolissime di Tortona. Dal profumo intensissimo al momento della raccolta, si deteriorano in una decina di ore. Ugualmente presidi Slow Food sono la fragola di Maletto (a rischio estinzione) sull’Etna e quelle di Ribera e Sciacca. La particolarità di quest’ultime è essere di montagna ma crescere in riva al mare che guarda l’Africa. Pare siano state piantate alla fine della Prima guerra mondiale dai soldati rientrati dal fronte sulle Alpi. Di bosco e profumata è anche la fragolina di Nemi, ai Castelli romani (la sagra quest’anno sarà domenica 5 giugno). Sempre nel Lazio, a Terracina, la Favetta di origine spontanea ora è coltivata.
Fin qui siamo nella serie A. Anche se hanno poco da invidiare le albine Annablanca (di rosso
solo gli acheni), le zuccherose Belrubi, le consistenti Madeleine usate per le crostate, la resistente Marmolada (arriva da lì), la Gorella a forma di cuore. O ancora, la grossa Ventana del Sud Italia, la Malwina, tanto tardiva quanto è precoce la Carezza, la Sabrosa (saporosa in spagnolo, pur essendo della Basilicata), la calabrese Curinga. L’Annabelle si riproduce più volte l’anno, come l’Ostara croccante e la Charlotte rosso sangue.
Piatti salati
Interminabile, insomma, l’elenco. Oltre che crude e nei dolci vale la pena impiegarle anche nei piatti salati. «Sono una via di mezzo fra il dolce e l’acido di cui abbiamo spesso bisogno», spiega Alessandro Scardina, appena arrivato come executive chef a Villa la Bollina a cavallo tra Liguria e Piemonte. «Accanto al gelato di bufala campana – aggiunge – aiutano a sgrassare e danno la nota aspra». Tutte le varietà sono molto delicate. «Quindi – suggerisce il cuoco – vanno tutelate dall’umidità. Io le avvolgo in una pezza come si usava col pane, poi le metto dentro un contenitore chiuso ermeticamente e solo dopo in frigo».