La pietanza
Sono più delle donne che amò Don Giovanni le ricette dove acciughe e alici (due nomi diversi per lo stesso pesce!) compaiono nella nostra cucina. Dai fiori di zucca al tortino di aliciotti con indivia della tradizione ebraica romanesca. Dalle puntarelle alla bagna caôda, diventa davvero difficile immaginare una irruzione più gioiosa e marina nei sapori della nostra cucina.
«Le acciughe sono il pane del mare. Sono abbondanti, si possono cucinare in mille modi, e sono anche molto sane». Lo spiega Arturo Scarci anima, insieme alla moglie Mary, di Meglio Fresco pescheria bistrot romana. Qui le acciughe scottadito spruzzate di origano e aceto sono un imperdibile. L’Italia dei campanili non si smentisce così nemmeno sulle acciughe.
Una tappa in Cilento e ci si imbatte nelle alici di “menaica”, dal nome di una pesca antica. Le barche escono al tramonto e la rete, la “menaica”, con le maglie strette al punto giusto, intrappola gli esemplari più grandi, che muoiono in questo modo dissanguati. Da quel momento, alternate a strati di sale e conservate in vasi di terracotta, dopo una maturazione di almeno tre mesi, queste alici dalla carne chiara e dal profumo gentile sono pronte a essere consumate.
Cambia il nome delle reti, che nel Golfo di Catania sono chiamate “tratte”, e cambia quello
delle acciughe, i “masculini”,ma la tecnica e i sapori sono gli stessi. «Ma anche da noi in Liguria le acciughe sono un affare serio», dicono con una sola voce Luca e Lorena, titolari di Quintilio ad Altare, storico paese delle vetrerie nell’entroterra di Savona, a due passi dal Piemonte. «Anche senza citare le acciughe sublimi e di carne soda di Monterosso, nelle Cinque Terre, da noi questo pesce parla delle antiche vie del sale. Lungo sentieri da vertigine
i contrabbandieri del sale lo nascondevano infatti sotto strati di alici, come si legge nel romanzo di Nico Orengo Il salto dell’acciuga. Dobbiamo a loro la penetrazione nel basso Piemonte di quella che è diventata la base per costruire, fra l’altro, quel trionfo di aglio e acciughe che è la bagna caôda».
L’alchimia
Altra tecnica altre storie si vivono anche a Cetara, borgo di pescatori della Costiera amalfitana, dove le alici sono una religione. Che si tratti del “cuoppo”, il cartoccio di pesce fritto, oppure della pasta con la colatura, un sapore che deriva da una tecnica arcaica che rimanda al garum dei romani ed è autentica alchimia di concentrazione del mare
in un liquore limpido, color dell’ambra, quintessenza golosa di “alicitudine” per regalare sapore assoluto a una pasta.
Ma siamo davvero sicuri che le acciughe siano cibo povero? La smentita ci viene dalla moda e dai “foodies”, oggi tutti stregati dalle alici del Cantabrico. Spiega Alessandro Roscioli, salumeria con cucina romana, «dai mari della Costa Nord della Spagna, arriva un prodotto perfetto per concentrazione salina, carnoso, sapido, elegante, perfetto nei filetti (ricavati da mani gentili femminili), elegante anche nella lunga stagionatura. Soprattutto – e qui Roscioli si regala una risata – l’Oceano e i pesci sono spagnoli, ma è stata l’immigrazione italiana di fine ‘800, specie quella siciliana, quella che ha creato la competenza dei marinai cantabrici».