L’albicocca
In Italia perfino Confucio finirebbe in confusione. La tradizione narra che amasse radunare gli allievi sotto un albicocco (tant’è che l’ideogramma che descrive il cerchio dell’educazione contiene la parola albicocca). Sarebbe però indeciso tra le circa 100 varietà italiane. Perché la pianta originaria dell’Asia e coltivata da millenni in Armenia (prunus armeinica è il nome scientifico), da noi ha trovato terreno e clima ideali.
Carnoso, croccante, succulento, dolce e anche aspro, è uno dei frutti dell’estate. Anche dell’inverno: anzi, perché non pensare al Natale adesso e preparare i regali golosi da mettere sotto l’albero, già ora approfittando del prezzo che tra poco dovrebbe scendere? Facile fare le albicocche sciroppate sotto vetro (un segreto? Aggiungete delle foglioline di menta fresca allo sciroppo tiepido). Oppure le confetture, o i canditi (conservati in un boccione di grappa), o il liquore da imbottigliare a luglio ma da far riposare almeno 4-5 mesi. Nelle fredde giornate invernali, questi saranno tutti regali graditissimi al sapore d’estate.
La tintarella
Intanto, godiamoci le albicocche come frutto fresco (o centrifugato). Bisogna sapere che hanno caratteristiche idratanti e drenanti che liberano l’organismo dalle tossine e stimolano la melatonina aiutando così la tintarella. Un frutto che stimola la fantasia ed ecco allora le albicocche anche nella cucina salata. Come fa, per esempio, Andrea Costantini che firma la ricetta di oggi.
«Nei piatti salati – spiega – preferisco utilizzare l’albicocca passita. La sua tipica acidità è così mitigata dall’appassimento che le conferisce una particolare consistenza burrosa, molto piacevole al palato. Invece scelgo albicocca fresca soprattutto nei dolci, enfatizzandone acidità e vivacità, spesso abbinata alla liquirizia. Mi intriga il contrasto acido, amaro ed erbaceo che si viene a creare».
C’è pure chi propone l’insalata di polpo, ceci, fagiolini con gli spicchi di albicocche a fare da contrasto. Oppure gli scampi alla piastra con albicocche caramellate (con l’aggiunta di mandorle a scaglie e yogurt). Abbinamento audace anche col tonno alla giapponese dove il dolceaspro del frutto mitiga il piccante freddo del wasabi. L’albicocca è comunque da mangiare nuda e cruda, senza neanche curarsi dell’aspetto estetico, perché molte varietà sembrano (e sono) brutte, ma buonissime. Come la Galatone pugliese, dalla buccia macchiata in più punti, o la Diavola campana, irregolare rosso fiammante.
Le tavole
Nel napoletano vengono chiamate bericocche o crisomole (talvolta con la doppia M) e sono protette da alcuni Presìdi SlowFood, per esempio nel caso delle piccole e dolcissime Preole. Davvero Reale (e buona per le marmellate) è quella di Imola che matura tardivamente, a differenza della Bella, sempre di Imola, che arriva presto sulle tavole. Ancora più precoce è la Thyrintos del Nord Italia, buona da mangiare a morsi, compatta com’è. Di montagna – cresce anche a 1000 metri – è la Marille dell’Alto Adige con un sapore tendente all’acido. In Sicilia la granita perfetta è con le piricoche di Scillato. Assolutamente unica è la rarissima albicocca di Santo Stefano, dal colore pallido, che cresce solo nell’isola di Ventotene nel Lazio. Buonissima. E l’elenco potrebbe continuare a lungo con la Pindos, la Valleggia, l’Amabile Vecchioni, e tante altre.