Tendenze
Finite le feste, è tempo di recuperare la forma dopo gli stravizi a tavola. Puntuale, ecco il ritorno a tutto ciò che è vegetariano. La tendenza del momento sono le erbe amare, consuetudine che alcuni fanno provenire dalla cultura ayurvedica, non sapendo che già la Bibbia (Esodo 12, 2-8) “suggerisce” l’arrosto «con azzimi ed erbe amare».
Giorgio Calabrese – tra i maggiori esperti mondiali di alimentazione – ricorda che «erbe, verdure e radici amare sono, a ragione, considerate salutari. L’amaro agisce sulle papille gustative e stimola una maggior produzione di saliva, che è ricca di enzimi come le amilasi, utili alla scissione degli amidi. Lo stomaco viene indotto a produrre gastrina, in grado di attivare al meglio il processo digestivo. Vengono infatti stimolati altri organi come fegato, pancreas, cistifellea». Importante è l’effetto antiossidante che «però – avverte Calabrese – si perde cuocendole in troppa acqua». L’amaro fa digerire bene, «consentendo una migliore scissione proteica e quindi un migliore assorbimento di nutrienti».
Dove trovarle
In Italia si trovano centinaia di varietà di verdure e varianti – di sole cicorie ce ne sono tante – utilissime per creare piatti della tradizione o innovativi. Un catalogo dettagliato di 170 piante è il ricco Atlante gastronomico delle erbe di Andrea Pieroni (Slow Food Editore, 256 pagine, 29 euro). L’autore, forte dei suoi titoli internazionali (è stato anche presidente della International Society of Ethnobiology), non ha bisogno di scimmiottare le mode.
«Le erbe censite e trattate – scrive – non sono erbe rare di luoghi poco antropizzati, come invece qualche nuovo adepto del “foraging” vorrebbe farci credere, ma sono quelle che crescono agli angoli delle case, ai margini delle strade di campagna e delle siepi». Pieroni cerca insomma di colmare «il divorzio apparente tra la moda di andar per erbe, i costosi corsi di riconoscimento e di “ars culinaria” e la cucina popolare delle nostre nonne». Per farlo il volume propone decine e decine di ricette. Come quelle degli “amareddi” dell’Etna (la ricetta di oggi) che in italiano sarebbe la Senape (Sinapis arvensis) dai mille altri nomi in altre regioni: rizzetta, ruchettone, alaussa, lassinu, mazzareddi, rucascina.
Nei giorni di festa nel Vulture, per esempio, è tradizione saltare le senapi in padella con aglio e peperoncino, con le alici o il baccalà. «La combinazione – precisa l’Atlante – tra il piccante del peperoncino, l’aglio, il sapore umami delle alici e quello pungente delle senapi è una sorta di firma sensoriale delle cucine del Mezzogiorno italiano, unica al mondo. Brassica nigra e Sinapis alba sono specie tradizionalmente coltivate da molti secoli, specie in Europa centrale, per il loro seme che, macinato, dà vita alle salse a base di senape che tutti conosciamo. Noi, però, le ritroviamo spesso rinselvatichite nel centrale e meridionale».
Le combinazioni
Amare, amabili, perfino dolci, le erbe spontanee ci sono in tutte le stagioni e a comprarle hanno sempre prezzi assolutamente contenuti. Come nel caso del romanesco Ramolaccio dei Castelli Romani che ha sapore pungente che ricorda i friarelli. Un tempo nel Centro Italia si dava ai maiali, poi si scoprì ch’era buonissimo. In frittata di patate (senza uova) a Rocca Priora. In zuppa con cavoletti neri a Genzano. Oppure nella base di farina e acqua per un’antica pizza di Velletri.