La leggenda
Stregante, coinvolgente, emozionante. Il Martini si può raccontare o, meglio ancora, bere in mille modi diversi. Trasparente, algido nella sua coppa leggendaria, questo cocktail, prima ancora che Gin e Dry Vermouth miscelati in una determinata proporzione, rappresenta una concezione del mondo. Non per caso i “martiniani” costituiscono un popolo a parte di devoti alla convocazione di questo cocktail da leggenda. E la parola leggenda non è poi così stravagante, perché nessuno può dire con certezza quando e dove sia nato il Martini.
Qualcuno lo attribuisce a Jerry Thomas (autore nel 1862 della prima guida sui cocktail) che col nome di Martinez, una città californiana, ne avrebbe miscelato una prima versione. Per altri fu invece un certo Martini, ligure di Arma di Taggia, a servire a John D.Rockfeller ai tavoli del Knickerbocker Hotel di New York un indovinato mix di Gin e di Vermouth, costruendo le basi di un successo che sarebbe diventato subito inarrestabile.
Il mito
«L’arma più micidiale degli Stati Uniti» secondo Nikita Krušcëv, tracimò così rapidamente nella vita quotidiana, nel cinema e nella letteratura. Hemingway in Di là dal fiume e tra gli alberi ne propose una versione dove il Gin è in proporzione di 15 a 1 rispetto al Vermouth. Fu battezzato Montgomery, il generale che aveva teorizzato questa proporzione di forze per una vittoria certa sul nemico.
Luis Buñuel diede una sua versione mistica sull’impiego, che deve essere minimo, del Vermouth, evocando lo Spirito che feconda come Luce nell’Immacolata Concezione. La leggendaria scrittrice mondana Dorothy Parker ne descrisse in maniera graffiante gli effetti dionisiaci: «Adoro farmi un Martini, massimo due. Al terzo finisco sotto il tavolo, al quarto sotto il mio ospite». E ancora, Scott Fitzgerald, inventore del verbo “to cocktail”, lo preferì ad ogni altra bevanda, perché il Gin non corrompeva l’alito. Così come amò anche la coppa, indissolubile dal Martini, comparsa per la prima volta nella Esposizione Universale di Parigi.
La cornice del Martini
Ai nostri giorni nella cornice del Golfo di Napoli e di un immenso agrumeto è nato un luogo unico al mondo, il Dry Martini Sorrento by Javier de las Muelas all’interno del Majestic Palace Hotel, dove del Martini ne propongono 101 versioni. Spiega il patron Lucio D’Orsi, maestro di mixology: «il nostro bancone ha uno spazio dedicato solo alla preparazione dei cocktail Martini sia in gin che in vodka. Viene denominato “Altare”. La nostra filosofia è molto semplice: toccare la coppa che viene prelevata da un congelatore a meno 30 gradi una sola volta. Mai più di due Martini per volta nello stesso mixing glass».
Massimo D’Addezio al Chorus di Roma nella irripetibile infilata di via della Conciliazione, considera il cocktail bar italiano una sintesi di tre elementi. Solida cultura professionale, buon umore e combinazione coi sapori giusti della cucina (che in questo caso è guidata da Arcangelo Dandini). Poi ridendo aggiunge: «e se mai foste colti dalla cattiva idea di fingervi James Bond al bancone di un bar, fermatevi chiedendo solo un Martini. Senza aggiungere, come 007, “mescolato, non agitato”, perché in questo modo, perfino con la vodka, come piaceva a Bond, il cocktail perde la sua mitica trasparenza».
La ricetta del Knickerbocker Martini di Alessio Bragalone, Valentyne Restaurant & Club – Hotel Valadier, Roma
Alessio Bragalone dei cocktail conosce storia e segreti, ma soprattutto sa come “leggere” dentro i clienti. «Il Martini per me è come un vestito, è personale».