Biodiversità
Da dove iniziare per scrivere i grani antichi? Dalle fake news (come quella del kamut, che non è il cereale dei faraoni ma un’abile operazione di marketing)? O dalle 291 varietà italiane di 100 anni fa contro la decina di oggi? Oppure dalle storie di piccoli e coraggiosi imprenditori che recuperano coltivazioni poco remunerative (contrariamente ai moderni grani “nanizzati”, meglio resistenti al maltempo) e non trattano con le multinazionali monopoliste delle sementi?
O scrivere di salute, perché nei cereali antichi il rapporto amido-glutine è più equilibrato e quindi le farine sono più leggere e digeribili tanto da evitare molte intolleranze. La biodiversità è una storia maledettamente seria. Da non banalizzare in moda, come purtroppo il circo televisivo dei cosiddetti “cuochi d’artificio” talvolta fa, dimenticando di spiegare che alcuni grani non sono adatti ad assorbire i sughi o altri pessimi per la pasta al dente.
Dal centro al sud
Ci sono invece giovani agricoltori che buttano soldi e sudore nell’impresa. In Abruzzo si coltiva la Saragolla, importata dall’Egitto nel 400 d.C. Nel Cilento è riapparso il Carosella, tenero semiselvatico noto agli antichi romani. Nell’alta Maremma tanti sono i campi di Verna, Gentilrosso e Frassineto. La dea Cerere (da cui la parola cereali) era siciliana e l’isola è ora il paradiso del recupero dei grani antichi con una cinquantina di varietà ritrovate. La più comune è la Timilia-Tumminia, resistente alla siccità e quindi adatta al bacino mediterraneo.
Nell’estremo sud d’Italia, a Pantelleria, si è trasferita Valentina Correani, attrice e per tanti anni brillante volto di Mtv. Con Andrea Blandino è l’eroina che ha recuperato una ventina di ettari di terreni vulcanici abbandonati da 40 anni per avviare una forma di agricoltura rigenerativa e resilente, priva di trattamenti esterni. Coltiva la varietà che è un simbolo contro la nanizzazione dei grani moderni, il Perciasacchi (dalle lunghe spighe, che – appunto – bucano i sacchi), e il Margherito, il fratello gemello del più noto Senatore Cappelli (pugliese).
«Il bello della biodiversità – racconta – è che gli stessi grani cambiano nella stessa isola. A seconda dei luoghi in cui sono coltivati, sui terrazzamenti, per l’alta salinità se vicini alla costa, oppure sulle più ventose alture». Con la farina realizzata in un molino a pietra, attualmente produce busiate (tipica pasta trapanese) e rigatoni.
Vicino a Montalbano
Nel Ragusano, a 79 passi esatti (contati da chi scrive) dalla veranda del commissario tv Montalbano a Marinella (nella realtà si chiama Punta Secca), Joseph Micieli di Scjabica fa la farina con l’antico Russello. «Ideale – racconta – per la lenta essiccazione della pasta. Non per il pane che verrebbe gommoso». Preferisce, invece, «il Senatore Cappelli per i grissini per il suo grado di dolcezza e nel pane per l’alveatura della mollica e la vigorosa crosta esterna».
Inutile dire, infine, che anche le medie-grandi aziende puntano sul recupero degli antichi frumenti. La veneta Sgambaro, per esempio, produce farina e pasta di farro monococco (considerata la più antica coltivazione dell’uomo 10 mila anni fa). Stagioni d’Italia di Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, realizza 14 diversi formati di pasta solo col grano duro Senatore Cappelli.