Le focacce salate si rivelano una buona scelta per una cucina sana e veloce, spesso anche a base di cibi avanzati. Di gran moda nel 1400, sono sparite dai menù un secolo fa. Oggi sono diventate il simbolo della cultura regionale.
La tradizione
Dici torta e pensi alle dolci torte delle ricorrenze speciali: sontuose, decorate, guarnite, burrose, colorate. Ma, in verità, le torte nascono salate come contenitori di formaggi, carne, verdure, maccheroni.
«È proprio questa base non dolce la più antica forma di torta», scrive Paolo Petroni, presidente dell’Accademia Italiana della Cucina nel libro (“Le torte dolci e salate”) con 200 ricette regionali selezionate dall’Istituzione fondata nel 1953 dallo scrittore Orio Vergani.
La temperatura
«Le semplici focacce», spiega Petroni, «servivano a saggiare la temperatura del forno». Dalle focacce agli scrigni ripieni di ogni ben di Dio il passo è stato breve. Eppure, anche le torte salate hanno subìto le alterne fortune dei gusti dei cuochi di grido (ieri quelli di papi e re; oggi stellati e televisivi): di gran moda nel Quattrocento grazie a Maestro Martino, citate nel Cinquecento da Messisburgo e Scappi e nel Settecento dal “Cuoco Galante” Vincenzo Corradi. Nell’Ottocento le torte salate escono dai menù e non vengono neppure citate nelle prime edizioni degli ancora popolarissimi “Cucchiaio d’argento” e “Talismano della felicità”.
Oggi, la contemporanea voglia di cucina sana, la ricerca dei prodotti del territorio, l’esigenza di non sprecare e quindi di riciclare quanto avanzato dal giorno prima, ha fatto ritornare in auge le torte salate. Quelle ripiene di carciofi, di acciughe e bieta, di cipolle, di spinaci e formaggio sono statisticamente le più frequentate in ogni regione, oltre naturalmente la Torta Pasqualina.
La ricetta originaria genovese vorrebbe che le sottilissime sfoglie fossero esattamente 33, quanto gli anni di Cristo. Accontentiamoci degli ingredienti di rigore: pasta brisé, bieta, ricotta, uova, parmigiano e maggiorana. Per Pasqua in Abruzzo, la torta rustica tipica è il “fiadone”, con uova (simbolo della Resurrezione) e formaggio che in primavera è più pregiato.
Il fritto
Tra le torte fritte, la più nota è “il” gnocco fritto di Modena e Reggio Emilia, farcito di salumi o formaggi. O piuttosto, come scrisse Messisburgo nel 1549, “frictelle piene di vento”, perché la pasta si gonfia friggendo.
Ogni regione, come dimostra il libro dell’Accademia della Cucina, ha decine di torte salate. Ma il Lazio batte tutti. Ad esempio, la tiella di Gaeta (anche qui solo farina, olio, lievito e sale) è diffusa in tutto il Sud, riempita in tutti i modi: polipetti, cipolle, scarola e baccalà, spinaci e ricotta. Nella Sabina c’è il “fallone”, due dischi di pasta che racchiudono verdura ripassata in padella.
Nella stessa zona la “pizza rentorta”, dalla forma simile a un serpente, composta da tre strisce di pasta ripiene di salsiccia, mozzarella, pecorino e pepe e poi arrotolate su se stesse. Numerose le preparazioni nella Capitale, dove l’incrocio tra le mense aristocratiche e papali e la popolare cucina ebraica ha dato vita a classici della gastronomia romana, come gli aliciotti con l’indivia, tipica del Shabbath, il sabato.
La mozzarella
Non rientra invece nella tradizione ebraica l’altra pizza rustica più nota, la torta di patate con prosciutto e mozzarella, “un ottimo esempio”, spiega ancora il libro dell’Accademia, “della versatilità del tubero e della semplicità con cui la torta può essere preparata anche con le sole patate o aggiungendo altri ingredienti”.