A tavola
Nuda e cruda è una delle pietanze più amate specialmente quando si avvicina la bella stagione. Lo confesso: a me la mozzarella di bufala piace senza fronzoli, al massimo in una caprese con i pomodori, ma che siano veri San Marzano o del Piennolo.
Ormai è diventato però quasi un sacrilegio non gustarla nelle diecimila ricette che i cuochi di grido le hanno costruito attorno usandola come ingrediente principale. Addirittura a Paestum si svolge la manifestazione “Le strade della mozzarella”, congresso internazionale di cucina d’autore con tantissimi chef provenienti da vari Paesi del mondo.
La regina
In questa occasione ogni maestro prova a trasformare la popolana mozzarella in Queen Bufala, la regina del gusto. Del resto, ancor prima che i Borbone ne facessero una fiorente attività economica (che oggi vale mezzo miliardo di euro, con 15 mila addetti), piaceva assai anche ai papi.
Prodotta sin dal XII secolo nella piana del Volturno e del Sele, nel 1570 fu il cuoco di Papa Pio V, Bartolomeo Scappi, a darle in un documento ufficiale il nome, derivandolo dal gesto dei casari di “mozzare” con le mani il pezzo di cagliata filata e di staccare con gli indici e i pollici le singole sfere: dai dieci grammi della perlina alle trecce da tre chili passando per ciliegina, bocconcino e nodini.
Nel Sud del Lazio venivano – e vengono – prodotte già allora ottime mozzarelle, tant’è che le province di Latina e Frosinone ricadono nel territorio della Dop Bufala Campana. Il comune laziale con più allevamenti è Amaseno. Anche qui, come nel Beneventano e nell’Alto Casertano, c’è chi produce ricotta, yogurt e provole di bufala.
Le proteine
Facilmente digeribile, più ricco di proteine, grassi e soprattutto calcio, rispetto a quello di vacca e pecora, nel latte di bufala è l’assenza di carotenoidi a dare al prodotto finito la lucentezza e il colore bianco porcellanato.
Ma il bell’aspetto non basta più. “Famola strana”, direbbe l’Ivano di Viaggi di nozze di Carlo Verdone. Ad accontentarlo ecco le “mozzarelle 2.0” di alcune stelle Michelin:
- l’IN.Consistenza in quattro consistenze di Francesco Apreda all’Imago di Roma;
- la Millefoglie croccante di Giancarlo Morelli a Milano;
- la Nuvola in spuma di Pino Cuttaia di Licata;
- la tartare di ventresca di tonno, latte di bufala, cocco e lime di Antonino Cannavacciuolo, il più televisivo dei “cuochi d’artificio”.
- Per chiudere con Rosanna Marziale, una delle più brillanti cuoche d’Italia, che ha dedicato due interi libri alla bufala. Nel suo ristorante a due passi dalla Reggia di Caserta usa anche il “latte di mozzarella” realizzato fondendo il latticino a bagnomaria fino ad ottenere un fluido ricco e saporito. Insomma, come bere mozzarella.
La schiuma
A proposito, con che vino abbinarla? L’esperto campano Paolo De Cristofaro suggerisce i vini di struttura del territorio, come il Greco di Tufo, “capaci di tenere testa alla forte personalità aromatica e alla grassezza del latticino”. C’è chi preferisce la birra, magari quella col siero del latte della lavorazione delle mozzarelle creata da un birrificio artigianale di Caserta. È una “milk stout style“, ossia ad alta fermentazione, dalla schiuma compatta e con un bouquet complesso di sapori. Credetemi, questa non è una fake news: il marchio è “Bubala”, mica bufala.