Perché dedicare adesso una ricetta alle cozze? Forse per mantenere più vivo il ricordo del mare e dell’estate? Certo, ma prima di tutto perché proprio ora – e fino a dicembre – è il periodo di maggiore pesca e in cui sono più buone, dopo aver impiegato un anno intero a crescere. Ovviamente i tempi dipendono dalle acque in cui si sono alimentate di fitoplancton. In Italia il 90% dei circa 250 allevamenti sono nell’ordine in Emilia Romagna, Veneto, Puglia, Friuli, Sardegna e Liguria, mentre all’estero compriamo da Spagna e Grecia.
Da zona a zona cambiano non solo i nomi (peoci in Veneto, denti di vecchia nel Comacchio, mòscioli nella Marche) ma anche sapori, consistenza, colori. Perfino il nero della conchiglia può apparire più o meno nero. Per esempio, la quasi introvabile di Portonovo di Ancona (che cresce selvatica ed è Presidio Slow Food) è nera violacea all’esterno e madreperlaceo all’interno. Un campionato a parte sull’estetica lo gioca la cozza pelosa di Bari, tanto brutta quando buona da mangiare cruda.
Il colore
Tra i gourmet è gara a individuare le differenze a partire dal sesso: il mollusco femmina – più dolce e carnoso – è arancione vivo; tende al giallo il maschio. Forte concorrenza c’è tra allevatori sardi e veneti per valorizzare le produzioni e specificarne le identità. Poi c’è Mitilla, allevata al largo di Pellestrina, isola nascosta della Laguna Veneta. Il guscio all’esterno è generalmente nero, a volte con tinte viola. All’interno azzurrognolo e iridescente. In bocca, una volta cotta, uno dei punti di forza è la mancanza assoluta di gommosità che ha sorpreso perfino i cuochi della zona.
«Prima – racconta Irina Freguia al mercato di Rialto a Venezia – usavamo per lo più la cozza sarda, le Nieddittas. Benché entrambe allevate in lagune (quella di Marceddì per le sarde), la salinità è differente. Mitilla non è troppo grande; è polposa e molto delicata, molto fine! Anche Nieddittas non è particolarmente grande, molto saporita, più ruspante come sapore, rende ben saporiti i piatti più rustici. Mitilla è più delicata, non bisogna assassinarla con condimenti aggressivi».
Insomma ogni tipo si adatta ai diversi piatti diversi delle cucine regionali d’Italia a partite dalla impepata che sfama e piace. Addirittura esaltata sin dal Seicento come piatto tanto popolare quanto regale. In una delle 50 fiabe del Cunto de li cunti, il napoletano Gianbattista Basile scrive: «E o Re subbeto fece venire agliata, mostarda, ‘mpepata, e mill’autre saporielle pè scetare l’appetito».
Lo zafferano
Ormai piatto nazionale, l’impepata è uno dei tanti modi di cucinare il mollusco. L’Accademia Italiana della Cucina attribuisce alle Marche la tipicità della cozze in guazzetto di pomodoro, in pastella e fritte (infarinate e sbattute nell’uovo). All’Abruzzo allo zafferano e ripiene (anche pugliesi). Alla Puglia gratinate (la variante vastese è senza origano e con l’aggiunta di pomodoro). In un’epoca di contaminazioni in cui l’elegante sauté francese di cozze diventa un sontuoso soté napoletano, sicuramente sappiamo però che solo in Puglia potremo trovare la perfetta tiella: riso, patate e cozze, sintesi di estate e inverno e di territori lontani.