La verdura
Sarà pur vero, come scriveva Achille Campanile, che “non c’è alcun rapporto fra gli asparagi e l’immortalità dell’anima”, però è altrettanto vero che questi fusti in miniatura ci avvicinano alla natura con la loro consistenza carnosa e succulenta. Quelli selvatici erano già amati nell’Antico Egitto tanto da essere raffigurati in alcuni bassorilievi lungo il Nilo. Furono poi il greco Teofrasto e i romani Catone e Plinio il Vecchio a descriverne le tecniche di produzione e le varietà.
L’insalata
Oggi in Italia sono decine: non solo le denominazioni protette bianche di Bassano del Grappa, Cimadolmo e Badoere (tutte venete), Cantello (Lombardia) e verdi di Altedo (Emilia) e di nuovo Baodere, o il presidio Slow Food del Violetto di Albenga (Liguria), poco fibroso e assai burroso. Tra le firme dell’alta cucina un vero cultore dell’asparago è lo svizzero Pietro Leemann. «È una liliacea – spiega – della stessa famiglia di cipolle e aglio. Il gusto si avvicina a verza e cavolo di Bruxelles, ma più sottile. La varietà bianca, coltivata in assenza di luce, è più amara, più intensa e decisa. Il verde, coltivato alla luce, è più dolce». Il patron di Joia, una Stella Michelin a Milano, lo propone in sontuose preparazioni.
“Wild”, per esempio, è un’insalata di erbe selvatiche e fiori alpini che arrivano dal Canton Ticino, pesto di avocado, asparagi bianchi coltivati da Federica Baj a Cantello (Varese), guazzetto di asparagi verdi e acetosella, spuma di aglio orsino. La ricetta che ci propone oggi non è difficile da fare a casa, mettendo assieme asparagi bianchi con gli aromi e le erbe dell’orto, la spuma di crescenza, pomodori confit e olive taggiasche.
In famiglia gli asparagi vengono però solitamente solo lessati o cotti al vapore. «Un tempo – racconta lo chef – le verdure si cuocevano a lungo. Oggi è impensabile. Per il verde bastano 4-5 minuti; per il bianco, che è più lungo e ha fibre più consistenti, servono 8-9 minuti. Una volta si usavano anche più aromi, la farina e il succo di limone. Oggi piace in purezza».
Il pecorino
Secondo lo chef gli abbinamenti classici sono con formaggi di buona sapidità (parmigiano o pecorino); in insalata con latticini freschi (ricotta o mozzarella). «È comunque – aggiunge – molto versatile perché grazie al gusto non predominante si abbina a verdure come piselli, fave, zucchine. Soffre, invece, accanto a gusti forti come barbabietola e pomodoro che lo cancellano o altri agliacei (aglio, cipolla) che tendono a sovrastarlo». Leemann raccomanda di non tritarlo mai, né tagliarlo per lungo perché perderebbe la fibrosità, eventualmente meglio a tocchetti. Utilizzato come ingrediente in zuppe e creme, frittate e sformati, torte e risotti, il giro d’Italia dei fornelli lo vede cucinato prevalentemente con burro e parmigiano in Emilia (in Toscana con l’uovo) e in Piemonte con la fonduta la salsa tartara.
Le pentole
Nel Nord Est immancabili sono le uova (cereghin, cioè fritte al tegamino, in Lombardia; sode in Veneto). Nel Centro Sud si preferisce la varietà che cresce selvatica. Per cuocerlo servono pentole strette e alte con gli asparagi legati assieme in piedi e le punte verso l’alto. Vi suggeriamo un trucco: se chiamate la punta – il germoglio in cima – col suo vero nome “turione”, forse non cambia il sapore, ma sicuramente farete parte degli esperti.