Piatti esotici
L’asado argentino o il churrasco brasiliano? La renna in umido della Svezia, i fish&chips di Londra o la paella spagnola? Oppure il gulasch dell’Est Europa o lo spezzatino zighinì eritreo? Perché non provare a replicare a casa i gusti del pianeta? Non sarà lo stesso che gustare un nasi goreng in Malaysia o la marmitta di montone tra i nomadi della Mongolia, ma forse – anche sbagliando – scopriremo un nuovo e intrigante sapore fusion. Usando – questa è la particolarità – prodotti agricoli tanto esotici quanto 100 % italiani. Sì, perché nelle campagne dalle Alpi alla Sicilia maturano coltivazioni che non fanno parte della nostra tradizione. «Non è più il tempo in cui solo l’immigrato portava le sementi dal suo Paese per il proprio orticello come facevano i nostri nonni emigranti. Adesso c’è grande fermento anche tra gli imprenditori agricoli», spiega Vittorio Castellani, noto come Chef Kumalè.
La scoperta
Lo scrittore gastronomade ci guida alla scoperta delle novità a partire da alcune tipologie di tuberi: «L’olluco delle Ande (compatto e croccante anche con le lunghe cotture) ha trovato l’habitat ideale nelle Prealpi Lombarde e in Val di Susa in Piemonte. Nelle stesse zone le numerose comunità peruviane hanno portato la coltivazione del camote, che assomiglia alla patata dolce americana ma è arancione, ideale per il chicharrones de chanho (il maiale fritto)». Nelle campagne vicino Prato – la capitale italiana dei cinesi – crescono straordinarie varietà di cavoli e i lunghissimi fagiolini verdi che trovate saltati in padella nei ristoranti cinesi. I cinesi hanno introdotto anche la luffa, una zucca che quando è essiccata sembra una spugna.
«Ai marocchini nel Sud Italia – continua Castellani – dobbiamo il merito di averci fatto prima
scoprire e poi spinto a coltivare la menta dolce per fare il te dolce. I maghi della mixologia preferiscono nel mohito alla menta glaciale». A proposito di aromatiche esotiche, ecco l’incredibile “menta negra”, la huacatay. Se in Bolivia e Perù cresce allo stato selvatico, viene ora coltivata nelle Prealpi Liguri. Innumerevoli i peperoncini – dall’habanero dello Yucatan al Trinidad Red Scorpion – che si sviluppano bene da noi. «Andateci piano – ammonisce Castellani – spesso le varietà di origine giamaicana, indiana, thailandese, hanno gradazioni altissime».
Globalizzazione
Le contaminazioni maggiori sono nella frutta: lemongrass e avocado sono rigogliosi in Sicilia e Calabria. Qui viene coltivato anche «un mango pregiato, non fibroso, migliore di quelli brasiliani e al livello del famoso Alphonso, a forma di cuore, assai caro a Buddha». In Sardegna, c’è chi si è specializzato nella coltivazione di Kiwano, Yacon e Crosne.
La materia prima non ci manca per cucinare esotico, magari come propone Takeshi Iwai, lo chef di Aalto di Milano. «I miei spaghetti con vongole alla tsukemen sono un dialogo tra due mondi, sintesi del mio viaggio dal Giappone all’Italia» racconta. «In Giappone, tsukemen è un piatto tipico per cui s’inzuppano soba o udon in una ciotola con dashi a parte. Ho reinterpretato questo gesto con lo spaghettone Cavalieri da intingere con le bacchette in una crema di vongole. L’ospite completa il piatto con altri ingredienti serviti a parte. Infine con un mini-shot fresco per pulire il palato».