La tradizione
Dimenticate i pentoloni di olio scuro e sporco, il cibo unto e bisunto, gli abiti impregnati di cattivo odore. Il tanto demonizzato olio fritto è rinato a nuova vita, grazie all’uso accorto delle diverse varietà di grassi e alle friggitrici moderne. e con lui il più popolare dei piatti di strada: la pizza fritta.
Il fritto, insomma, non è più il nemico numero uno dei nutrizionisti. «Il vento è cambiato – spiega Luciano Pignataro, giornalista e storico della cucina napoletana – perché una frittura ben eseguita non ha mai fatto male a nessuno». «Il grasso in cui si frigge – aggiunge – deve avere un punto di fumo alto. Parliamo della temperatura in cui un grasso inizia riscaldandosi
eccessivamente a decomporsi, cambiando la propria struttura molecolare e creando l’acroleina, una tossina dannosa per il fegato e cancerogena. Più alto è il punto di fumo, migliore sarà la frittura».
Tradizionalmente i napoletani friggevano con la sugna di origine animale. Oggi si preferiscono grassi di origine vegetale, come l’olio extravergine di oliva e l’olio di semi di arachidi. Tra i fritti più buoni, è tornato prepotentemente di moda il più popolare dei piatti di strada. Quella pizza che una procace Sofia Loren frigge nel pentolone ricolmo di olio in una delle scene più iconiche de L’oro di Napoli.
La forma della pizza fritta
«Sul finire della guerra – racconta Albert Sapere, che ogni anno stila l’elenco di 50 Top World Pizza – erano stati bombardati molti forni a legna. Così nei rioni ci si organizzò cuocendo la pizza nei pentoloni ricolmi di olio bollente, oppure nel padellino». Oggi
molte pizzerie allargano i propri menù non limitandosi alle tonde e ai calzoni al forno e non frenando la fantasia per le farciture.
A Roma, la pizzeria Berberè ha un menù dedicato alla pizza fritta con svariati condimenti e Stefano Callegari da Sbanco ci mette sopra il pollo alla cacciatora o il sugo della coda alla vaccinara. A rigor di tradizione, la classica pizza fritta napoletana per essere definita “completa” deve avere i ciccioli di maiale, provola, pomodoro e ricotta. Varianti sono senza pomodoro e col salame invece dei ciccioli. Franco Pepe, il famosissimo pizzaiolo di Caiazzo, in Campania, ha innovato anche la forma, facendola a forma di cono. «Nel voler dare una veste nuova – racconta – siamo partiti studiando il modo di utilizzare la materia prima sul disco di pasta fritto. Per esempio, usando pomodoro ramato a fette. Al centro di ciascuna fetta metto peperoncino, aglio in polvere, acciuga di Cetara, prezzemolo e zeste di limone».
A casa
Il cono fritto di Pepe diventa una rosa nel caso della pizza alla mortadella (con ricotta di bufala, polvere di pistacchio e scorza di limone). Pepe ha sdoganato perfino la versione dolce, per fine pasto, con la Crisommola, farcita con sfoglia fredda di fiordilatte aromatizzata all’arancia, cioccolato fondente fuso, foglia di menta, fior di sale, scorza d’arancia e Cerasella (la ciliegia sotto spirito). Da accompagnare con bollicine di qualità, in barba alla popolarissima origine della pizza fritta.
A casa poche le regole da rispettare: la prima lievitazione dura circa un’ora. Quindi vanno formate le palline da 50 grammi ciascuna da far lievitare per altre 8-10 ore. Quando si stendono, mai spolverarle di farina per evitare di sporcare l’olio. Farcita la pasta, i bordi vanno “ammaccati”. L’olio deve essere intorno a 180-200 gradi e la parte che emerge della pizza va sempre tenuta bagnata.