L’ alimento
«Nelle nostre abitudini alimentari la frutta secca entra per tradizione popolare. Durante le feste del santo patrono in ogni paesino troviamo bancarelle di arachidi, noccioline, semi di zucca, noci e via elencando. E a Natale non c’è pranzo o cena senza una distesa di gherigli di noci sulla tavola», racconta Cristian Torsiello, cuoco quarantenne di Valva, borgo arroccato sulle colline in provincia di Salerno.
Nel suo elegante ristorante di Paestum e dall’alto delle sue stelle Michelin (anche quella verde per la sostenibilità) usa la frutta secca nell’alta cucina salata. «Oltre alla consistenza e al sapore – afferma – regala quel supporto di grasso non animale ma vegetale che amalgama bene gli ingredienti, che dà pulizia palatale».
Un esempio è la ricetta dell’insalatina (qui in basso) con l’anacardo. Un altro è l’uso dei pinoli col filetto e l’olio alla ruta: «Un sapore dolce, mai invadente, che si abbina con l’americante della ruta».
Le varietà
Ovviamente lo chef suggerisce di studiare bene ogni varietà per usarle al meglio. «Come nel caso – spiega – delle nocciole, ugualmente buone di Giffoni e di Alba. Queste ultime più blasonate sono più grasse, ideali per la pasta di nocciole. Quelle di Giffoni (in Campania) sono più austere, più asciutte, alla masticazione danno un sapore più lungo, sono perfette per fare il torrone».
La frutta secca non aveva comunque bisogno di essere sdoganata dall’alta cucina, tanto più da quando è ormai definita dai nutrizionisti “smart food”, cioè ingrediente sano ed equilibrato, ricco di vitamine, sali minerali e proteine. Con l’arrivo dell’autunno anche i banconi dei supermercati sono stracolmi di frutta in guscio o già confezionata, dalle castagne (secche o affumicate) e poi dalle altre varietà in vista di Halloween, della festa dei Morti in Sicilia e infine del Natale.
L’Italia è fortemente dipendente dall’estero perché non basta la nostra produzione che però sta crescendo: nuovi noccioleti sono stati piantati nel Lazio (Viterbo è la prima provincia col 26% della produzione), Piemonte, Campania e Calabria. Nuovi mandorleti sono sorti in Sicilia, Basilicata e Umbria, mentre a Maccarese, nel Lazio, c’è il più grande d’Europa (130 ettari), che da pochissimi mesi ha iniziato la commercializzazione di confezioni da 200 grammi e da 1 kg.
La produzione
Del resto, già gli antichi romani andavano matti per le mandorle, considerate simbolo di fertilità. Indispensabili nei dolci, sono impiegate anche per produrre olio e aromatizzare cibi e bevande. Per quanto riguarda il pistacchio, il 99,7% di quello italiano cresce tra Bronte sull’Etna e Raffadali (Agrigento). La produzione di castagne (l’Italia è il 6° produttore mondiale) è diffusa in areali che vanno dal sud al nord, così come quella delle noci.
Tra le novità c’è il ritorno a Ispica – nella Sicilia Sud Orientale – della coltivazione di sesamo, scomparso da una cinquantina di anni. Grazie ai giovani fratelli Gambuzza e ad altri ragazzi adesso ha pure ottenuto il riconoscimento di presidio Slow Food. Infine, c’è perfino chi punta sulle arachidi made in Italy. Settemila anni dopo le prime coltivazioni in Sud America, qualche mese fa in provincia di Ferrara c’è stato il primo raccolto di arachidi, più piccole e più scure rispetto alle varietà importate, ma con un gusto più intenso.