L’alimento
Il Cacio di Genazzano! Il pecorino dei monti Prenestini a due passi da Roma fa parte del ristretto club dei Presìdi Slow Food. Queste sono comunità impegnate a salvare razze autoctone, varietà di ortaggi e di frutta, pani, formaggi, salumi e dolci tradizionali.
La sua è una storia antica, risalente al Seicento, quando veniva usato come moneta di scambio. Sebbene sia ora considerato una bontà gourmet, viene ancora prodotto seguendo le tradizioni. Il latte, rigorosamente crudo, di pecore Comisana, Sarda e Massese viene scaldato in un paiolo di rame. La coagulazione avviene con caglio animale. Ci sono due varianti per la rottura della cagliata: il taglio a nocciola per il cacio fresco, da stagionare almeno un mese, o a chicco di mais per la versione stagionata da sei mesi.
La tradzione
«La differenza», spiega il produttore Luca D’Ottavi, «sta nella dimensione dei pezzi di cagliata. Più sono piccoli, minore sarà l’umidità al suo interno, condizione ideale per una stagionatura più lunga». Il sapore distintivo proviene dai pascoli in cui si alimentano le pecore, ricchi di piante come tarassaco, avena selvatica, amaranto, malva, carduncolo e crispigno. Questo profilo aromatico complesso è apprezzato anche dai grandi chef, come Marco Bottega, che a Genazzano pratica una delle migliori cucine sostenibili d’Italia.
Gli aromi
Il cacio cambia sapore stagione dopo stagione, a seconda di ciò che mangiano le pecore. C’è anche il Caciofiore, protetto da Slow Food e considerato un antenato del Pecorino Romano. Viene fatto immergendo nel latte crudo un caglio vegetale ottenuto dal fiore di carciofo o cardo selvatico.