Risale al tempo in cui il mattatoio di Roma si trasferì da Piazza del Popolo a Testaccio – correva l’anno 1890 – che la mitica coda alla vaccinara trovò la sua sistemazione. Pezzo povero, da “scortichini”, il gradino più basso nell’arte dei macellai, con l’introduzione del pomodoro e di una generosa componente di sedano e, successivamente, con l’aggiunta colta di pinoli e cacao, la coda divenne ricetta gustosa a sé stante, ma anche sugo generoso per la pasta.
Oggi, sdoganata definitivamente da piatto povero, in forma di provocatorio “rocher” con una girata di pinoli intorno, la coda è un piatto di culto dello chef Riccardo Di Giacinto di All’Oro. Nella sua versione dura e pura (secondo molti, la ricetta come la conosciamo oggi nacque tra queste mura) non può che essere gustata da Checchino, che dal 1887 è della famiglia Mariani.
Ma tutti i luoghi della Roma golosa e verace hanno l’indirizzo giusto: a Testaccio, non si può certo mancare Flavio al Velavevodetto o, per gustarla in forma di street food, al Trapizzino; a Trastevere, invece, Enzo ai Vascellari ne propone una interpretazione sontuosa; in zona San Giovanni, infine, Roberto e Loretta ne propongono una interpretazione raffinata.
La ricetta della coda alla vaccinara di Annibale Mastroddi, Antica Macelleria Annibale – Roma
Nella bottega di Annibale Mastroddi si discute in allegria in materia di coda.