La riscoperta
Chissà se anche Francesco Petrarca andava in “brodo di giuggiole” come tutti gli abitanti dei Colli Euganei.
Il piccolo arbusto di provenienza asiatica è il tipico frutto della memoria che ci riporta indietro nel tempo quando le donne venete nelle lunghe serate invernali tenevano in bocca una giuggiola che aiutava la salivazione e quindi a inumidire le dita per tirare il filo da cucito.
Il frutto – al contempo dolce e leggermente acidulo – è usato per preparare marmellate, conserve e il citatissimo, ma sconosciuto ai più, brodo che è un infuso idroalcolico naturale a base anche di mele cotogne e melograni.
Corbezzoli, sorbe, mela roggia, pera cocomerina, corniole, biricoccola, nespola selvatica, mora di gelso, prugnola, gabbaladro e via elencando fanno parte del ricco tesoro di biodiversità del nostro Paese. Ottomila sono le varietà di frutta, ma – secondo Coldiretti – ben 1500 a rischio scomparsa.
Le varietà
Pensiamo alle mele: l’Italia ne vanta quasi 250 varietà a fronte del mercato che per l’80% è composto invece da appena sei tipologie e tutte addirittura di origine straniera. È un po’ quanto sta succedendo con il “verde melograno/da’ bei vermigli fiori” al quale tendeva “la pargoletta mano” il figlio di Giosuè Carducci. Frutto antico, è diventato adesso assai moderno. C’era già nella preistoria; greci e romani ne andavano pazzi tanto da narrare di Kore – alias Proserpina – strappata ai genitori Demetra e Zeus e costretta a cibarsi solo di semi di melograno.
All’epoca non se ne conoscevano le straordinarie proprietà antiossidanti né l’uso come anticoagulante o per prevenire il raffreddore (un bicchiere di succo conterrebbe il 40% del bisogno giornaliero di vitamina C). Miracoloso o meno, sgranocchiare i chicchi (pardon, si chiamano arilli) o berne l’estratto fa tendenza e così nel giro di appena 3 anni le coltivazioni dedicate sono cresciute specialmente in Puglia e Sicilia.
La polpa
Quasi ovunque è stata però scelta una cultivar di origine israeliana, più dolce e priva della sottile pellicola amara di colore bianco. Il bello e il buono della frutta spontanea sono proprio le leggere imperfezioni, il fascino del genuino, i sapori speciali.
Il corbezzolo – la “fragola di mare” rotonda e rugosa – ha polpa gialla, morbida e dolcissima; ancor più dolce è la sorba che sembra una minuscola mela; dolce-acidulo tanto da ricordare la nespola è l’azzeruola romagnola; mettete assieme susina e albicocca e avrete il sapore della biricoccola: ne andava matta a Parma la regina Maria Luigia. E ancora, ecco la corniola che sembra una grossa oliva dal colore rosso scuro, carnosa e succosissima.
Infine le comunissime cotogne (mele o pere) che – essendo troppo legnose – vanno però assolutamente cotte per realizzare la dolce cotognata siciliana o la superba cugnà piemontese da abbinare ai formaggi o il cotognac trentino.