Già nel suo viaggio gastronomico in Italia, Paolo Monelli aveva colto nelle trattorie un tratto distintivo della romanità. L’affluenza degli anni ’60 con la trasformazione “borghese” della ristorazione, l’invasione di cucine regionali, la nouvelle cuisine, gli sperimentalismi, l’etno-chic non sono riusciti a sopprimere. Anzi, gli chef, orgogliosi delle loro radici, hanno approfondito le ricerche e l’esplorazione della memoria lavorando, anche in termini di materia prima, su ogni singolo piatto.
Coesistono così la Campana, dietro a via della Scrofa, una locanda dove passò anche Caravaggio, magnifica per i suoi fritti, e Lo’Steria, bistrot giovane che più romanesco non si può, nel cuore della movida di Ponte Milvio. Il rito delle porzioni abbondanti e buone sopravvive al conto delle calorie da Carlone in Trastevere e nella semplice trattoria di Ada e Mario alla circonvallazione Appia.
Passione e grinta con tante coccole per il cliente sono di casa da Vino e Camino a due passi da via Giulia, celebre per il suo cacio e pepe. La saldatura tra i piatti rassicuranti della tradizione borghese, piccole felici invenzioni e solidissime interpretazioni dei classici (amatriciana impeccabile) si trova alla Vecchia Roma, nella cornice elegante di piazza Campitelli, grazie alla mano della giovane titolare, la chef Raffaella Palladino.
La ricetta dei saltimbocca alla romana di Annibale Mastroddi, Antica Macelleria Annibale – Roma
«A me questo piatto mette allegria perché è semplice, si può fare all’ultimo minuto e piace a tutti» esordisce il “sor” Annibale Mastroddi, guru storico delle carni con bottega in via di Ripetta.