La pietanza
Chi è stato in vacanza nei paesi del Nord Africa o nelle isole del Mediterraneo probabilmente non ha resistito all’acquisto di una couscoussiera. Se riemersa indenne dalla stiva dell’aereo, perché non fare subito un bel cous cous a ricordo dei giorni di mare appena trascorsi? È un piatto povero quanto gustoso.
«L’importante», spiega Salvatore Abdellali Haythem, 29 anni, mamma tunisina e papà siciliano, «è che ci sia il comunissimo pesce vopa (o buga) a dare grande sapore. Costa pochissimo, come i piccoli scorfani o i granchi che magari poi non mangiamo ma che arricchiscono la zuppa». «Ognuno è ovviamente libero di metterci anche i pesci più costosi, rana pescatrice e san Pietro e per dare dolcezza scampi e gamberi», aggiunge Abdellali, che serve il miglior cous cous di Marsala.
La celebrazione
Proprio la provincia di Trapani è sin dal XVI secolo la capitale italiana del cous cous. Al campionato mondiale si sfidano solitamente chef di Angola, Costa d’Avorio, Israele, Italia, Marocco, Tunisia, Senegal, Spagna, Stati Uniti e Palestina. Sono del resto mille i modi per preparare questo piatto.
«Così simili e così diversi», spiega Mario Liberto, autore di “Cuscus” (Agra editrice, 18 euro), «a seconda del luogo in cui lo si cucina: con il montone all’algerina; con galletto, prugne secche, miele e mandorle in Medio oriente; altrove alle fave o al pollo; dolce all’uvetta; e ancora con carne di maiale e cavolfiore, con i broccoli, con il tacchino, con le lumache, con il pesce, con i crostacei, con i frutti di mare».
Le invenzioni
Estremamente duttile, ha tante varianti: in Italia il Cascà di Carloforte, il Cuscus di Pantelleria, alla favignanese, alla trapanese, alla livornese. «Il piatto», aggiunge Liberto, «è anche condizionato dalla cultura delle popolazioni, dalle religioni, dai saperi, dai gusti». Se un cous cous cucinato nel deserto è diverso da quello realizzato in un’oasi, innumerevoli sono anche le interpretazioni dei grandi chef.
Giuseppe Costa, stella Michelin a Terrasini, s’è inventato addirittura l’arancina con la semola invece del riso. «L’arancino», dice, «è un contenitore, come la pizza, e dentro uno mette quel che vuole. Io lo faccio ripieno di frutti di mare, succo di pomodoro e fiori di ulivo su un letto di gazpacho. Comodo da mangiare, con una texture intrigante, non va servito troppo caldo».
I nomi
Chiamiamolo cuscus, cuscussù o in francese cous cous, fatto sta che da quattromila anni i minuscoli granuli di semola cotti a vapore assicurano la vita dell’uomo grazie all’equilibrata composizione di proteine, zuccheri, grassi, sali minerali e vitamine. Ma quali i consigli per farlo a regola d’arte?
Appena cinque quelli dell’italo-tunisino Salvatore Abdellali:
Per incocciare il chicco (unire cioè 2-3 granelli di semola) l’acqua deve essere leggermente salata e tiepida.
Il pesce va preparato prima e lasciato quindi riposare.
Le couscoussiere migliori si appoggiano direttamente sulle pentole durante la cottura della zuppa, così i vapori arricchiscono di profumo la semola.
Il cous cous, una volta fatto, deve sudare e quindi si lascia riposare sotto una pesante coperta. Dopo un quarto d’ora si bagna della zuppa e si copre di nuovo per farlo gonfiare un po’.
Attenzione all’umidità della giornata, può influire molto sul risultato.